Emily Blunt: “Il diavolo veste Prada mi ha cambiato la vita. Ma troppa pasta con Stanley Tucci”

Roma – Le prime immagini del Diavolo veste Prada 2, l’ascensore che si apre, Meryl Streep e Anne Hathaway, hanno galvanizzato i social, ma nel sequel ci sarà anche la terza adoratissima protagonista, Emily Blunt.

Mentre le riprese sono ormai concluse e Milano è ancora attraversata dall’onda lunga di un set che ha riportato in città un immaginario amato in tutto il mondo, Emily Blunt si trova in un momento particolare della sua carriera: da un lato il ritorno simbolico al ruolo che l’ha lanciata vent’anni fa, dall’altro The smashing machine, il film presentato in concorso a Venezia che racconta la storia vera del campione di MMA Mark Kerr e della sua compagna Dawn Staples.

Diretto da Benny Safdie, il film, che ha come protagonista Dwayne “The Rock” Johnson, ha ricevuto una standing ovation di quindici minuti e ha sorpreso per la sua forza emotiva: un ritratto di dolore, dipendenza. Il film esce in sala il 19 novembre con I Wonder Pictures. Quello di Emily Charlton, l’assistente “junior” di Miranda Priestly, sarcastica, spietata, nevrotica, ossessionata dalla magrezza e completamente devota al lavoro, era un ruolo inizialmente marginale che la sua bravura, anche d’improvvisazione, ha trasformato in uno dei personaggi più amati e ricordati del film.

Incorniciata in una libreria, camicetta leggera carta da zucchero, sorriso bellissimo, Emily Blunt non si tira indietro nel parlare di Il diavolo veste Prada 2. Non può anticipare ovviamente nulla sul nuovo film, che arriverà in sala il 29 aprile 2026, ma racconta che cosa ha significato quel film sulla sua carriera, sul set milanese e sul rapporto con il nostro paese: “Il mio rapporto con l’Italia… mi vengono in mente due cose. La prima riguarda Stanley Tucci e la seconda il cibo. Ho ricordi incredibili dei viaggi in Italia. Mi sento come se fossi stata dappertutto. Mi piace un sacco. Amo la vivacità della cultura, quel senso della storia. È così palpabile. Ed è il mio posto preferito dove andare. E così, quando hanno detto che anche per Il diavolo veste Prada 2 saremmo stati a Milano, ho pensato: “Oh, Dio, questo è un dono”. Il mio ricordo indelebile è aver mangiato troppa pasta con Stanley Tucci”.

Il film del 2006 le ha letteralmente “cambiato la mia vita in una miriade di modi. Sono grata al regista David Frankel per aver pensato che ce l’avrei fatta, penso che sia stato un trampolino di lancio per interpretare un sacco di personaggi stravaganti, visto quant’era bizzarro il personaggio di Emily Charlton. Ha influenzato tutto il resto del mio futuro. Sono grata che quella sia stata la sorgente di tante cose che mi sono successe dopo”.

Cambio di film e tono per Dawn Staples, la compagna del lottatore incarnato da Dwayne Johnson in The smashing machine: “Mi sono innamorata della fragilità di Dawn, per me è stato un dono aver potuto parlare con la vera Dawn, e anche se era consapevole che l’avrei interpretata durante uno dei periodi più instabili della sua vita, penso che lei abbia condiviso così tanto con me da espormi ogni suo nervo scoperto. Averla compresa a fondo mi ha permesso di dare vita a un personaggio “storto”, non necessariamente d’appeal. Al cinema i personaggi femminili vengono spesso chiuse in gabbie precostituite: devono essere di supporto, aperte, disponibili, gentili. Dawn invece rappresenta la parte più a rischio di ciò che significa essere umani. Sono queste le voci femminili di cui abbiamo bisogno”.

Quanto al processo di trasformazione fisica, “sono sempre felice quando riesco a non assomigliare a me stessa. Per Dawn sono partita dalle unghie, quelle sue unghie con la french manicure così anni 90, metà bianche metà beige. Lei parla con le mani, si mangia le unghie. E poi l’abbronzatura spray, la parrucca, il trucco… guardarmi allo specchio e non riconoscermi mi è stato di grande aiuto”.

Blunt ricorda poi l’esperienza con The smashing machine alla Mostra di Venezia, la lunghissima standing ovation: “E’ stata un sollievo per me, perché ho amato tanto questo film, l’ho fatto con tenerezza, in purezza. Sapevo che era un film difficile da definire, non un film strettamente sui combattimenti. Quando sei a un festival non sai mai come andrà ma quell’abbraccio mi ha travolta. Così come vedere il vero Mark Kerr, applaudito per una vita di cui lui, invece, si è vergognato tanto… Una delle esperienze più commoventi della mia vita”.

Ripensando alla sé stessa ventenne, a cosa direbbe a quella ragazza dal futuro incerto, l’attrice racconta: “Alla giovane Emily vorrei dire che non bisogna mai smettere di combattere perché è così che si cresce. La giovane Emily vedeva la luce brillare dalle fessure e in un certo senso The smashing machine è un film emblematico: alla fine Mark sorride, sotto la doccia, dopo aver perso, come a dire: non lasciare che il tuo bisogno di successo, di vincere, metta in ombra il tuo bisogno di stare bene”.

Infine, sul progetto con Martin Scorsese nato durante le riprese, racconta: “Questa storia è nata perché Dwayne voleva un’altra esperienza insieme proprio come The Smashing Machine. Abbiamo iniziato a parlare delle Hawaii, non delle spiagge ma delle strade secondarie. Mi chiedevo: cosa succede lì che non vediamo? Così ho cercato e ho trovato la storia di un vero boss del crimine, Nappy Pulava, che ha governato le isole per trent’anni. L’ho proposta a Dwayne Jonhson, abbiamo coinvolto il nostro ricercatore Nick Bilton, che è diventato lo sceneggiatore. E poi Martin Scorsese ha detto che era interessato. Tutto è ancora in costruzione, ma penso sia un terreno di narrazione incredibile”.

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