Fatma Hassona, la videoreporter uccisa a Gaza. La regista: “Porto a Roma il film che la fa rivivere”
Il 15 aprile 2025 la regista iraniana Sepideh Farsi chiamava per l’ultima volta la videomaker palestinese Fatma Hassona, con cui per un anno aveva costruito un progetto molto speciale e le annunciava che il “loro” film era stato selezionato al festival di Cannes. Il 16 aprile all’1 del mattino lei e altri sei membri della sua famiglia sono stati uccisi nel sonno da un bombardamento dell’esercito israeliano, quella è stata la loro ultima conversazione.
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Put your soul on your hand and walk, metti la tua anima in mano e cammina, è un film unico. Presentato alla prossima Festa del Cinema di Roma nelle sezioni Special Screenings e Concorso per il Miglior Doc, sarà in sala con Wanted Cinema il 27 novembre e prima passerà al festival di cinema e donne a Firenze.
“Put your soul on your hand and walk”, il film sulla fotoreporter palestinese Fatma Hassona
Incontrando la regista iraniana espatriata in Francia non possiamo che iniziare dall’attualità e da quello che sta accadendo in questo momento nella Striscia: “La situazione in Palestina cambia senza cambiare veramente – dice – io constato che i dirigenti di certi paesi, Donald Trump in primis, stanno negoziando sulla testa dei palestinesi, ancora una volta i palestinesi non vengono ascoltati. Hamas non rappresenta tutta la Palestina, tutt’altro. Non a caso una personalità come Marwan Barghouthi, che è un vero leader per i palestinesi e che potrebbe essere una figura magistrale in questo momento, non è stato scarcerato appositamente da Israele. È detenuto in carcere da vent’anni senza nessuna ragione. Questo dimostra che c’è una volontà di silenziare le voci veramente pacifiste palestinesi. Io spero nella pace, io aspetto la pace come faceva Fatem ma non posso dirmi ottimista, perché questa non è pace. Quello che noi chiamiamo pace o cessate il fuoco non è assolutamente sufficiente. Anche perché gli aiuti umanitari sono ancora bloccati, dei seicento camion che dovrebbero entrare ogni giorno ne entrano al massimo centocinquanta e questo non basta”.
La regista, che in Iran ha trascorso del tempo in prigione, è esiliata e non può tornare nel suo paese, è in continuo contatto con le persone rimaste a Gaza: “Mi scrivo e mi sento con la mamma di Fatem come facevo con lei. Gli attacchi all’interno della Striscia non sono terminati, io ho notizie dirette di Gaza: continuano attacchi di droni su persone che a piedi cercando di tornare a casa propria. Ma anche bombardamenti, basti pensare che la casa dove viveva la famiglia di Fatma aveva avuto un attacco mirato quella notte, ci sono prove tramite inchieste di un’associazione inglese, che puntassero proprio a lei perché fotoreporter. Lei viveva al secondo piano e quell’attacco ha colpito solo il suo appartamento il 16 aprile. Ora pochi giorni fa tutto il palazzo è stato bombardato fino al suolo, un palazzo totalmente vuoto. Che significa distruggere un palazzo dove non c’è più nessuno. C’è solo una spiegazione: vogliono distruggere le prove del genocidio”.
La regista ha lasciato l’Iran tanti anni fa, racconta che la prima macchina da presa che ha avuto le è stata distrutta dal regime quando aveva sedici anni, ha raccontato a lungo il suo paese in modo rocambolesco con immagini girate con cellulari nascosti come in Teheran senza autorizzazione. Oggi non può rientrare nel suo paese. L’incontro con la fotoreporter è avvenuto tramite un amico comune, lei si trovava al Cairo sperando di trovare un modo per entrare in Palestina. Ci è entrata attraverso lo sguardo di Fatma Hassona.
“Spero di vivere la vita che voglio. Devo continuare a documentare, così potrò raccontare ai miei figli quello che ho passato e quello a cui sono sopravvissuta”. È con queste parole piene di speranza e resilienza che si conclude il film. Un film pieno del sorriso caloroso di Fatem che dopo l’anteprima a Cannes ora arriva alla Festa di Roma, uno dei punti della lista dei desideri. Fatem nelle conversazioni con Sepideh le elenca: vorrebbe tornare a mangiare il pollo, vorrebbe un pezzetto di cioccolato, vorrebbe una stanza tutta per sé. E vorrebbe viaggiare, andare a Roma. “Sono molto emozionata di essere qui a Roma, sono qui con il film, sono qui in qualche modo al posto suo. Anche se essere qui senza di lei è terribile. Lei voleva moltissimo venire a Roma, voleva vedere il Vaticano, i musei ma soprattutto il Vaticano. Aveva una grandissima fede che io rispetto. È una soddisfazione piena di amarezza portare questo film qui e negli altri posti dove viene invitato. Perché lei non può avere tutto questo… non vedrà il libro con le sue fotografie che è stato pubblicato in Francia, Les yeux de Gaza (gli occhi di Gaza) e che spero uscirà anche in Italia. Tutto questo avrebbe dovuto viverlo lei, avrebbe dovuto mangiare qul cioccolato. Per me è insopportabile questo dolore ma tutto quello che posso fare è accompagnare il film in modo che gli altri incontrino Fatem. Io non sono credente ma lei lo era moltissimo, chissà che sia da qualche parte e ci guardi. È l’unica consolazione”.
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