Francesco De Gregori a Venezia 82: “Con Nevergreen mi diverto con me stesso e con le mie canzoni”
Un piccolo teatro milanese, l’Out Off, diventa il rifugio intimo di Nevergreen, il documentario che Stefano Pistolini dedica a Francesco De Gregori. Non i grandi stadi o le piazze gremite, ma un luogo raccolto dove il cantautore sceglie di riportare alla luce canzoni meno eseguite, “minori” solo di fama, che si rivelano invece essenziali. Accanto a lui scorrono amici e colleghi — da Jovanotti a Ligabue, da Pausini a Malika Ayane — in un dialogo tra generazioni che illumina la forza nascosta del suo repertorio. Presentato a Venezia, il film sarà distribuito nelle sale italiane dall’11 al 17 settembre.
De Gregori, i suoi “Nevergreen” in un film alla Mostra del cinema di Venezia
La prima impressione guardando questo film concerto è che su quel piccolo palco e con un pubblico ristretto lei si goda appieno l’essere lì, in quel momento. Come ci è arrivato?
“Io cerco di arrivarci sempre anche nei concerti tradizionali, e anche quelli diciamo fatti nei circuiti più grandi. In questa occasione forse mi è venuto più facile. Intanto la quotidianità: è stato un mese a Milano e ogni sera andare a teatro era un po’ come stare a casa, come cantare nel salotto, con poche persone davanti. E quindi questa cosa mi ha permesso non di ritrovare me stesso, ma di divertirmi con me stesso utilizzando la canzone veramente per quello che è: un gioco creativo che a volte riesce bene, a volte riesce meno bene, ma che comunque appartiene a te, al tuo modo di suonare la chitarra o di sentire come va il batterista in un determinato film. Tutto viene più facile in una situazione come quella milanese”.
Stefano Pistolini, è un gioco condiviso con la sua regia sartoriale, un abito cucito su misura del Principe.
“Mi sono divertito molto perché è partito, appunto come accenna lei, da una base di familiarità e quindi non avevo da fare quel faticoso, complicato, guardingo passaggio dell’avvicinamento e poi del conoscerci, dello studio della vicenda e quant’altro. E quindi siamo andati dritti allo scopo quasi subito. Abbiamo molte canzoni che sono nel film e che appartengono alla prima sera del concerto, alcune dell’ultimo. In mezzo c’è stato questo mese di frequentazione. E poi erano magnifici, sembravano un plotone dei carabinieri. Arrivava prima la band, dopo un’ora arrivava Francesco, noi accendevamo le telecamere subito, poi se fosse stato previsto, sarebbe arrivato l’ospite. Quindi si era creata veramente una consuetudine e un ritmo di lavoro interessante perché creava storia e non solo concertone da grande rete nazionale, ma si creava una storia che avrebbe potuto diventare un piccolo film che si muoveva tra le pieghe di questa vicenda”.
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Nel suo repertorio come ha ricercato e ritrovato delle parole e delle canzoni che le parlavano in questo momento?
“Sicuramente sono molto condizionato dal fatto di essere uno che ama il cinema, perché il cinema proprio tecnicamente va avanti per scatti. E questo accade anche nelle mie canzoni, dove io ritrovo – se le analizzo – dei piani lunghi accostati a dei piani americani, e poi un primissimo piano. E questo è un gioco veramente molto bello”.
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Moltissime canzoni potrebbero essere scritte oggi perché raccontano veramente il presente.
“Certi miei brani devo dire lo sono, ma devo dire purtroppo. Io ho scritto delle canzoni contro la guerra, che purtroppo evidentemente sono evergreen, anche se la mia generazione ha vissuto un periodo di pace – io sono del ’51, sono un fortunato ragazzo che non ha mai avuto i soldati dentro casa, però le guerre ci sono sempre state, più vicine o lontano. Quindi ho scritto canzoni come Generale, Il vestito del violinista, che parlano anche di questi giorni. Non lo considero un complimento e non mi sento un profeta, ma anche il quadro di Picasso che racconta il bombardamento di una città basca, quello è attuale, potrebbe essere il manifesto di un bombardamento di oggi”.
Glielo dico perché qui alla Mostra si parla tantissimo di questo film che si chiama The Voice of Hind Rajab e racconta una bambina attraverso gli audio originali. E poi, come sa, c’è stata una manifestazione… L’arte significa anche schierarsi?
“Io penso che preferisco schierarmi attraverso quello che faccio e scrivo e canto. Sulle dichiarazioni e sugli appelli… per grazia di Dio io ho firmato, forse, non so nemmeno se me ne sono pentito, ma insomma, non è nel mio carattere spiegare le cose. E non credo in questa parola “sensibilizzare l’opinione pubblica”. La trovo anche un pochino offensiva verso l’opinione pubblica, perché è come se tu ti rivolgessi a persone che sono insensibili, e se non ci fossi tu che le sensibilizzi… Un po’ come dire: io sono più intelligente di te, quindi ti racconto io. C’è qualcosa che stride in tutto questo. E quindi la parola nelle canzoni, sta nel quadro di Picasso, sta in Orizzonti di gloria di Kubrick. È lì che si parla di Gaza, che si parla dell’Ucraina, che si parla di tutto quello che sta succedendo oggi”.
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Ha citato tra i film recenti che le sono piaciuti US Palmese, che mi ha fatto pensare a La leva calcistica della classe ’68: il calcio: è grande musica e anche grande cinema.
“Quel film restituisce il calcio alla sua realtà. E io sono stato colpito molto favorevolmente da come vengono descritte le azioni sul campo. Dove ci sono dei fermo immagine che non solo non rallentano il ritmo del film ma son metafora del calcio raccontato nel film. Perché tu non puoi far vedere l’azione di un terzino che blocca l’attaccante in tempo reale. Quel film raccontare i pensieri dell’attaccante e i pensieri del terzino che lo deve bloccare fermando il fotogramma: l’irruzione di qualcosa di irreale, di anacronistico in senso proprio etimologico mi affascinava. Poi c’è Papaleo, un attore che io amo moltissimo. Mi piacciono questi film leggeri, mi piacciono molto”.
Nei testi delle sue canzoni c’è anche molto racconto personale e di sentimento. Lei chiude il concerto esortando a ballare Buonanotte fiorellino. Quanto è importante quella canzone e quel momento per lei?
“Quella canzone è una canzone amata da tante persone, e quindi la uso molto spesso per chiudere i concerti, perché è una specie di darsi la mano col pubblico, di dare del tu al pubblico alla fine, con quel senso. E il pubblico gradisce molto questa danza. E non se lo aspetta, che uno come me che viene descritto spesso come una persona troppo riservata, troppo un po’ così… Da me il pubblico non se lo aspetta. E quindi sono tutti contenti, e io sono contento altrettanto. Come segno di pace, alla fine”.
Vado in pace… però mi deve regalare il primo verso che le viene in mente di una delle canzoni che ha scelto e che ha voluto far rivivere insieme al pubblico.
“Avevano parlato a lungo di passione e spiritualità”.
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