Gianni Amelio, 80 anni di un regista che ha trasformato l’abbandono in abbraccio
Gianni Amelio, che oggi compie 80 anni (auguri!), ha diretto 14 film, molti titoli per la televisione e ha scritto due romanzi. Uno si chiama Politeama (Mondadori, 2016), l’altro Padre quotidiano (Mondadori, 2018). Il primo titolo è il nome di un cinema. il secondo è un gioco di parole fra “padre” e “pane”. L’articolo potrebbe anche finire qui: come diceva Peppino a Totò, ho detto tutto.
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E invece proviamo a dire altro. Padre quotidiano è il racconto dell’incontro in Albania, sul set di Lamerica, con la famiglia del ragazzo che poi è diventato suo figlio adottivo. Descrivendo il padre biologico del ragazzo, Amelio scrive: “La prima volta che lo vidi nella piazza sterrata di Koplik, vicino alla fontana dove si abbeverano gli asini, mi sembrò il ritratto di mio zio contadino di Calabria, l’unico che vedevo zappare la terra, mentre gli altri, padre e nonno compresi, se li era risucchiati l’Argentina. Aveva la stessa faccia di ossa, il petto incavato, e una sigaretta in bocca sempre accesa. Mi ricordo il gesto che fece quando si avvicinò: il pacchetto aperto e un cenno del capo che voleva dire, anzi comandava, di prenderne una e fumarcela insieme. Come gli indiani nei western col calumet dentro la tenda, e guai a rifiutare”.
In queste poche righe Amelio mette in asse un padre albanese e un padre calabrese, creando una simmetria che è il cuore profondo di Lamerica. Lui dice sempre che quel film gli è caro più di ogni altro: lì ha conosciuto Luan, il figlio adottivo che oggi è un ottimo direttore della fotografia dopo anni di lavoro come operatore di macchina; e lì ha messo in scena uno dei temi principali del suo cinema, l’emigrazione. Nel film Enrico Lo Verso “diventa” un albanese e torna in Italia con una nave carica di disperati; in Così ridevano il tema è invece ambientato a Torino, a cavallo fra anni 50 e 60. Ma il tema profondo di tutto il cinema di Amelio è un altro.
Gianni Amelio: “Faccio film per restare giovane, non avevo soldi e volevo mollare”
Quando alla fine degli anni 50 i giovani critici dei Cahiers che poi sarebbero diventati i registi della Nouvelle Vague decisero di “distruggere” il vecchio cinema francese, del quale volevano prendere il posto, coniarono un termine che per loro era un insulto: “il cinema di papà”. Amelio fa da sempre un “cinema del padre”, parola meno intima e più solenne, più forte, di “papà”. Come ha raccontato ieri su Repubblica nella bella intervista concessa ad Arianna Finos, il padre di Amelio è emigrato in Argentina subito dopo la sua nascita ed è tornato quando il figlio era ormai adolescente. Il futuro regista è cresciuto con una madre bambina (aveva 16 anni quando lui è nato) e due nonne forti e importantissime. Una delle nonne lo portava sempre al cinema. Nell’intervista Amelio raccontava la storia di quando vide il primo film, Gilda, e poi il secondo, un film di pirati, vedendo il quale chiese alla nonna: “Quando torna la signora Gilda?”. Domanda che ci sembra assolutamente legittima visto che in fondo anche Gilda, sotto sotto, è un film di pirati. Noi gliene abbiamo sentito ricordare un’altra che vede protagonista la nonna: il piccolo Gianni, evidentemente assai sveglio, dopo qualche pellicola ambientata in paesi esotici chiede alla nonna come mai in questi film tutti gli attori parlino italiano. La nonna risponde in modo geniale: “Gli attori sanno tutto!”. È la più poetica definizione del doppiaggio che si sia mai sentita.
A vent’anni Amelio “emigra”, ma non come suo padre. Non va in Argentina, ma a Roma. Dalla Catanzaro di metà anni 60 è un viaggio quasi altrettanto avventuroso. Dovrebbe stare a Roma una settimana, a casa di un amico, ma una telefonata a Vittorio De Seta gli cambia la vita. Il grande regista, siciliano di nascita ma calabrese come lui sia pure “d’adozione” (ritorna questa parola…), lo prende come assistente sul set di Un uomo a metà. Nasce tutto così. Uno dei primissimi documentari di Amelio per la tv si intitola Undici immigrati. Di nuovo il tema dell’immigrazione, ma raccontato al contrario: parla dei calciatori del Catanzaro, in quel momento in serie B, quasi tutti settentrionali – quindi immigrati al Sud! Gli emiliani Gianni Bui, Alessandro Vitali (due fior d’attaccanti) e Gianfranco Bertoletti, il portiere friulano Paolo Cimpiel, il milanese Luigi Farina, il lodigiano Luigi Tonani… storie di uno spiazzamento geografico e sociale simile a quello che negli stessi anni viveva Gigi Riva, trasferito da Legnano a Cagliari: un’Italia ancora tutt’altro che unita, anche nel pallone.
Il primo film per il cinema è Colpire al cuore, 1983: tuttora uno dei suoi più belli. E qui comincia il “cinema del padre”. Proviamo a isolare alcuni padri, veri o virtuali, raccontati da Amelio.
Jean-Louis Trintignant in Colpire al cuore
È uno dei film italiani più belli sul terrorismo proprio perché non parla di fatti reali e non cade nella trappola del terribile “politichese” dei terroristi veri. Sceneggiatura dello stesso Amelio e di Vincenzo Cerami. Trintignant è un docente universitario sospettato di connivenza con un gruppo eversivo. A denunciarlo è il figlio Emilio, geloso del padre per mille motivi. Il ragazzo è interpretato da Fausto Rossi, figlio del grande architetto Aldo Rossi: uno dei tanti “Rossi” che percorrono come un misterioso fil rouge la filmografia di Amelio. Sul set, a Bergamo, il regista riceve la visita del grande cineasta americano Sam Fuller, a Milano per una rassegna. Amelio gli racconta il film e Fuller gli dice che il finale è sbagliato: il ragazzo dovrebbe sparare al padre. Amelio tiene ovviamente il suo finale e forse si ricorderà di questa storia in un altro film…
Enrico Lo Verso in Il ladro di bambini
Ovviamente il carabiniere Antonio non è il padre di Rosetta e Luciano, i due bambini che deve scortare da Milano alla Sicilia: ma in qualche misura lo diventa, poiché i piccoli non hanno un padre (appunto…) e vivevano con una madre ora in galera, travolta dall’indigenza e dalla vergogna. Il ladro di bambini è la storia di un uomo che scopre di avere istinto paterno senza nemmeno saperlo. Il finale fu a lungo in bilico: in una versione del copione il piccolo Luciano sparava ad Antonio con la pistola del carabiniere. Poi forse Amelio decise che Fuller, ancora una volta, aveva torto.
Carmelo Di Mazzarelli in Lamerica
È il vecchio Spiro, che il giovane e inesperto faccendiere Luigi (di nuovo Lo Verso) trova in un ospizio. Lo sceglie come prestanome per un affare losco, ma poi scopre che in realtà si chiama Michele ed è italiano: mandato decenni prima a combattere in Albania, era partito lo stesso giorno in cui era nato suo figlio e ora, fuori di testa, è convinto che il bambino abbia quattro anni, che lui stesso ne abbia venti e che la sua famiglia lo aspetti in Italia. Lamerica è il film che racconta in filigrana la storia del padre di Amelio, ed è il set sul quale Amelio stesso conosce suo figlio. Non c’è da stupirsi che sia il suo film della vita.
Enrico Lo Verso in Così ridevano
Anche in questo film Lo Verso non è un padre ma lo diventa. Giovanni emigra a Torino dalla Sicilia: sotto la Mole lo aspetta il fratello minore Pietro. Giovanni, analfabeta, farà di tutto per aiutare Pietro a studiare (il tema dello studio e della cultura, sinonimo di dignità e rispetto, è anch’esso centrale nel cinema di Amelio). Un fratello maggiore che diventa quasi un padre per il fratello minore: Amelio ha un fratello che ha molti anni meno di lui, e che fa il magistrato.
Kim Rossi Stuart e Pierfrancesco Favino in Le chiavi di casa
Il film ispirato a Nati due volte di Giuseppe Pontiggia si apre con due padri, uno dei quali passa il testimone all’altro: Alberto (Favino) è il secondo marito della moglie di Gianni (Rossi Stuart), e affida il figlio Paolo al suo padre naturale, che l’ha abbandonato subito dopo la nascita. Paolo è affetto da una gravissima patologia neuromotoria, e Gianni dovrà letteralmente conoscerlo, capire come aiutarlo, imparare a fare il padre. Kim Rossi Stuart non è l’unico Rossi del film: il ragazzo che interpreta Paolo si chiama Andrea Rossi.
Jacques Gamblin in Il primo uomo
Un intellettuale francese – che allude ad Albert Camus, al cui libro il film si ispira – torna in Algeria dopo anni, per visitare la madre e cercare le tracce del padre defunto. Da un libro straordinario, un film straordinario, fra i più belli di Amelio. E qui, nei flashback, c’è anche un meraviglioso personaggio di nonna…
Antonio Albanese in L’intrepido
Già è clamoroso che, anni dopo Lamerica, Amelio faccia un film con un attore che si chiama Albanese. La coincidenza diventa poesia quando il personaggio di Antonio, “rimpiazzo” professionista, finisce proprio in Albania: ci va perché suo figlio, professione sassofonista, deve tenerci un concerto, ma nel frattempo lavora anche in miniera. Il film è una fiaba in cui la mancanza di lavoro si sublima nella paternità. Lo straziante personaggio di Lucia è interpretato da un’attrice esordiente che si chiama Livia Rossi.
Renato Carpentieri ed Elio Germano in La tenerezza
Carpentieri è Lorenzo, un anziano avvocato che si rifiuta di avere rapporti con i propri figli. Germano è il suo vicino di casa Fabio, padre affettuoso di due bambini… che ucciderà con le proprie mani in un attacco di follia, prima di suicidarsi. Sconvolto dalla tragedia, Lorenzo si finge padre di Michela (Micaela Ramazzotti), moglie di Fabio e madre dei bambini uccisi, per assisterla in ospedale. Altro film in cui la paternità va conquistata, e a volte creata, vista l’incapacità di viverla quando è reale.
Pierfrancesco Favino in Hammamet
Partiamo da un dato personale di chi scrive: ci capita spesso, di fronte a film “biografici”, di rimarcare la scarsa somiglianza fra attori e personaggi ritratti. Tipo: Angelina Jolie che non assomiglia per nulla alla Callas, Timothée Chalamet che invece si sforza di somigliare a Bob Dylan… Spesso amici e colleghi ci rispondono: ma la somiglianza non è importante, non va rimproverata ai registi. Beh, se un regista non vuole simili rimproveri, si inventasse una storia originale, parlasse di Mario Rossi (e dalli!) anziché di Bob Dylan! In Hammamet Amelio fa la cosa opposta: trucca Favino in modo da renderlo IDENTICO a Bettino Craxi, poi però non nomina mai Craxi nel film e gli dà una figlia che, anziché Stefania, si chiama Anita come la moglie di Garibaldi… Così il film, oltre che una parabola sull’uomo di potere esiliato e sconfitto, diventa la storia di una figlia che tenta disperatamente di salvare il padre. E la figlia è nuovamente interpretata da Livia Rossi.
Luigi Lo Cascio in Il signore delle formiche
Aldo Braibanti (Lo Cascio) è amante e in qualche misura padre ideale del giovane Ettore (Leonardo Maltese). A sua volta Aldo è figlio di una madre adorabile e dolorosa (Rita Bosello) che si chiama Susanna come la vera madre di Pasolini. Invece Ettore è figlio di una madre virago interpretata dalla cantante lirica Anna Caterina Antonacci. Il signore delle formiche è anche un film di madri, ma forse sullo sfondo c’è un padre potente e ingombrante, il PCI, che non sembra capire fino in fondo gli scrupoli del cronista dell’Unità Ennio (Elio Germano) che vorrebbe raccontare sul giornale il caso senza infingimenti.
È solo una veloce carrellata. Ci sono altri padri, magari in ruoli minori, nei film di Amelio. Ad esempio, forse non è un caso che in Campo di battaglia il giovane ufficiale “convinto” e patriottico, Gabriel Montesi, abbia un padre ingombrante mentre l’ufficiale idealista Alessandro Borghi sembri non avere famiglia dietro di sé. Nei suoi ultimi film Amelio ha lavorato con la casa di produzione Kavac Film di Marco Bellocchio, il quale ha diretto molti anni fa un film intitolato Nel nome del padre. Entrambi potrebbero avere questo titolo come ideale esergo delle rispettive filmografie. E stiamo parlando di due fra i maggiori artisti del nostro cinema.
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