Gino Castaldo e “Il ragazzo del secolo”, storia di una generazione che ha chiesto l’impossibile

Un romanzo di “autofiction”, l’ha definito Gino Castaldo. Il che vuol dire che c’è una parte riveduta e corretta della sua biografia, che i personaggi sono spesso un mix di vari amici/amiche, che i fatti non sono raccontati con precisione assoluta. Ma tutto questo è accademia. Il cuore di Il ragazzo del secolo, o della rivoluzione perduta, il primo romanzo di Castaldo, è il racconto di un’epoca che a volte sembra lontana ma che, alla fine, riguarda tutti noi boomer, come ci chiamano adesso, che saremo pure poco tecnologici e spesso “cringe” ma che alla fine abbiamo permesso a tutte le generazioni che si sono succedute di godere di libertà personali e di pensiero impensabili negli anni raccontati dal libro.

Per chiunque abbia affrontato il giornalismo musicale, Gino (perdonate la confidenza, ma parlare in modo neutro sarebbe straniante) è stato un punto di riferimento, una guida in un caos di sigle, generi, giudizi, mainstream e alternative, morti e sopravvissuti come è stato il rock in settanta e più anni di vita. Lui, insieme a una ridottissima pattuglia di esploratori culturali, ha inventato un mestiere che non esisteva: il giornalista e critico rock. E il fatto che abbia deciso di raccontare la storia di una generazione (forse più di una) accende un riflettore sul come e il perché la musica sia diventata così importante/ingombrante/illuminante nelle nostre esistenze.

Classe 1950, figlio del primo Dopoguerra (miseria, macerie, tanta strada, periferie ancora molto spoglie), Gino è il testimone di un’epoca forse mai raccontata in questa chiave: quella della spasmodica, quasi rabbiosa necessità di trovare una dimensione che non fosse quella flanellata dei proprio genitori. Dalla scoperta dei Beatles e della British Invasion all’adrenalina del Piper, dai respiri di ribellione alle prima esperienze sessuali, il libro è in fondo un un lungo viaggio attraverso visioni, immagini, suggestioni suggerite dalla musica, la “nostra” musica, che fa sempre da sottofondo a tutti i racconti di cui il romanzo è pieno.

Le angosce e i dubbi degli anni 70, l’eterna sospensione tra il bisogno di libertà e la logica militaresca e violenta dei seguaci dell’ideologia, che imponeva lacci cortissimi, il femminismo più radicale, il dramma dell’eroina che fagocitava amici e conoscenti a ripetizione sono la traccia narrante di un percorso che, in parallelo, apre le porte di un mestiere che si rivelerà illuminante e prezioso, non solo per il protagonista. Le prime esperienze di scrittura a Musica Jazz, l’esperienza di Muzak, una rivista realmente realizzata in un clima di assemblea permanente e poi l’approdo a Repubblica.

Dentro Il ragazzo del secolo c’è un ampio pezzo di storia d’Italia, sociale, culturale e politica che parte dalla fine degli anni 50 e arriva fino alla fine dei 70: dentro ci sono migliaia e migliaia di ragazzi entusiasti, disperati, innamorati, confusi, naufraghi e navigatori, realizzati, falliti, tristi. Tutti hanno attraversato il sisma ininterrotto di un’epoca che è andata a una velocità folle, accompagnata da una musica inarrestabile.

Così, parlando di Muzak, Gino fotografa la vita di tutti (o quasi) i protagonisti di questo film di cui nessuno conosce davvero il finale ma che tutti hanno guardato in diretta, senza riuscire mai a stare seduti: “Muzak, la mia vita, la rivista grazie a cui ero cresciuto, che mi aveva permesso di esaltarmi in un lavoro che combaciava perfettamente con la mia passione, la musica, che in quel momento cavalcava le onde della Storia, mostrando tutto il suo potere, e era la nostra autorizzazione a sognare”.

Gino, in fondo, ha tenuto fede a un impegno comune: è stato realista. Ha chiesto l’impossibile.

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