“Honey Don’t”: quando il noir diventa un pasticcio senza capo né coda. La recensione

Honey O’Donahue (Margaret Qualley) è una detective privata in quel di Bakersfield, California: deserto assolato, pozzi di petrolio, esseri umani allo sbando. Honey è gay in modo molto esuberante: nel corso delle indagini su una serie di omicidi legati a una setta religiosa avrà anche una storia di sesso bollente con una poliziotta. La setta è governata da un sedicente “prete” che si intrattiene in attività sado-maso con le fedeli. Pare che in quel di Bakersfield l’accoppiata Eros-Thanatos vada fortissimo.

Honey Don’t è il secondo titolo di una trilogia di “b-movie lesbici” (sono loro a definirli così) che Ethan Coen e la montatrice-sceneggiatrice Tricia Cooke hanno iniziato nel 2024 con Drive-Away Dolls. Ethan, per chi non lo sapesse, è il fratello di Joel – sì, i fratelli Coen! – ma Joel qui non c’è. Buon per lui. Dispiace dirlo di un artista che ha vinto due Oscar come sceneggiatore (Fargo e Non è un paese per vecchi), ma da tempo non si vedeva un sedicente film noir scritto in maniera così balzana e approssimativa, con un finale assurdo che perde per strada almeno tre-quattro piste collaterali.

D’accordo che gli investigatori, dai tempi di Philip Marlowe, non devono capire un’acca delle nefandezze su cui indagano, ma qui si esagera. E che Margaret Qualley possa essere una detective sfida ogni legge di credibilità. Speriamo che Ethan e Joel tornino presto insieme, ci mancano.

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Honey Don’t

regia di Ethan Coen

Voto: una stella su cinque

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