“House of Guinness”, l’eredità contesa: la serie sull’avventurosa storia del birrificio irlandese

Il 27 maggio 1868, mentre stanno per iniziare i funerali di Sir Benjamin Lee Guinnes, e mentre viene dato fuoco al fantoccio del proprietario del celebre birrificio, Dublino è già in fiamme. Estremisti religiosi proibizionisti, con i cartelli che recitano “Non ci indurre in tentazione”, vogliono impedire al carro funebre trainato da cavalli di raggiungere la chiesa per le esequie. Ma a poche centinaia di metri di distanza ci sono anche i feniani, cattolici irlandesi che si ribellano agli inglesi e che ce l’hanno a morte contro Guinness considerato “un ricco unionista a servizio della gentaglia protestante”. Intanto, all’interno della fabbrica, gli operai si armano per affrontare la folla all’esterno.

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È una Dublino feroce e furiosa quella che assiste al passaggio di consegne dall’uomo a cui si deve lo straordinario successo dell’omonimo birrificio, che ha portato l’oro scuro della Guinnes attraverso il mare d’Irlanda in tutto il mondo, ai suoi figli, quattro rampolli viziati.

Arriva oggi su Netflix la serie House of Guinness, firmata dallo sceneggiatore Steven Knight già dietro al successo di Peaky Blinders. “Sono molto giovani, sono in quattro, e hanno il compito di prendere in mano questo marchio di incredibile successo – spiega Steven Knight nelle note di regia – La prima priorità è non rovinare tutto e la seconda è rendere l’azienda ancora più grande. Chi conosce la Guinness sa come sono andate le cose, ma questa è l’incredibile storia di come ci sono riusciti”.

“House of Guinness”, dai creatori di “Peaky Blinders” intrighi, misteri e la birra irlandese

I quattro fratelli Guinness non potrebbero essere più diversi: Arthur, il maggiore (Anthony Boyle) ha trascorso gli ultimi cinque anni in Inghilterra, ha persino perso l’accento irlandese “mi torna quando sono triste” confessa, il suo destino sembra essere quello di entrare alla Camera dei comuni al posto del padre; Edward (Louis Partridge) è l’unico che capisce di questioni aziendali, nonostante sia il più giovane da anni è stato il braccio destro del padre e ha le sue idee su come mandare avanti il marchio; Benjamin (Fionn O’Shea) è un ragazzo spezzato da debiti di gioco e alcol, nonostante una fidanzata che lo ama e che farebbe di tutto per farsi sposare. Infine c’è Anne (Emily Fairn), il cui essere donna la condanna fin dalla partenza, oltre al fatto che è stata data in sposa a un piccolo aristocratico (un reverendo di 11 anni più grande di lei) e dunque il padre è convinto che non meriti una fetta di eredità.

La serie ha il contributo fondamentale di un’erede della famiglia Guinness, Ivana Lowell, produttrice esecutiva dello show. “Ci sono tante leggende irlandesi su come tutto ebbe inizio: era l’acqua del Liffey o il luppolo bruciato ad aver dato alla nostra birra quel gusto inconfondibile? Ovviamente – continua Lowell – conoscevo i personaggi principali, il mio bisnonno e i familiari più stretti. E conoscevo il mito di Arthur Guinness. Ero convinta che il birrificio dovesse essere la star dello spettacolo, e poi c’è tutta una storia in stile Succession. Benjamin voleva lasciare l’azienda ai suoi tre figli. Ma, come sappiamo, era un po’ un dissoluto. In realtà, l’eredità si riduceva ad Arthur ed Edward. Arthur era tornato da Eton e Oxford: era diventato un po’ “stravagante”, era gay, cosa che all’epoca non era di dominio pubblico e illegale. Ma in famiglia si sapeva. Pensavo che sarebbe stata una buona trama per articolare il tema del ricatto. Poi c’era la tensione tra protestanti e cattolici, una storia incredibilmente ricca. Ho scritto una ventina di pagine che in qualche modo sono riuscite ad arrivare a Steve Knight, e quando ho letto la sua sceneggiatura mi è stato chiaro immediatamente di quanto fosse semplicemente bellissima. Così tutto ha avuto inizio”.

Ricostruzione storica fedelissima (la Dublino dell’epoca è stata ricreata nei dintorni di Liverpool come la Birmingham di Peaky Blinders era stata ricreata a Leeds), ma carta bianca per quel che riguardava le dinamiche tra i personaggi. “Direi che ci sono due forme di verità. Una è essere fedeli ai personaggi, e penso che siamo stati molto fedeli ai personaggi – dice Knight – molte persone realmente esistite, membri della famiglia Guinness, persone che lavoravano con loro e per loro. Quello che ho cercato di fare è stato di restituire a quei personaggi la maggiore aderenza possibile alla realtà, più folle di qualsiasi invenzione di fiction. Per quanto riguarda gli eventi, la cronologia è piuttosto precisa, scelgo dei punti di riferimento tra cui saltare e tra i salti ci sono i margini per inventare: forse è successo, forse sarebbe successo”.

La colonna sonora, come già con Peaky Blinders, mescola sonorità dell’epoca – in questo caso folk irlandese – con brani contemporanei tra cui quelli del gruppo rap Kneecap. Dopo questi otto episodi, un’altra stagione è più che possibile. “C’è ancora molto da scoprire – assicura Knight – Potrei continuare a raccontare fino agli anni 60 del Novecento fino alla vendita dell’azienda. Ogni generazione ha una storia incredibile”.

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