“I will survive”. La rinascita di Gloria Gaynor: “Finalmente sono uscita dall’ombra”

Gloria Gaynor è tornata. La regina della disco era in crisi prima di decidere di riprendere in mano la sua vita e la sua carriera: ora, a 81 anni, ne sta raccogliendo i frutti. Per anni, ha detto, è rimasta da sola sul palco, cantando su tracce audio preregistrate. Ora non più. La cantante, diventata l’incarnazione del riscatto personale – grazie al suo inno simbolo, I will survive – ha affermato di aver lottato per anni con una bassa autostima. Di conseguenza, era finita alla deriva.

Da quando ha deciso di prendere in mano la sua vita e la sua carriera, è finalmente diventata quella cantante sicura di sé che si sente in così tante registrazioni, incluso il suo ultimo singolo, Fida known, una canzone che richiama gli anni d’oro della disco, pur suonando molto attuale.”Mi sento come una farfalla che esce da un bozzolo”, ha dichiarato recentemente.

Il grande successo arrivò nel 1975 con Never can say goodbye, il remake di una hit del 1971 dei Jackson 5. Grazie al suo ritmo incessante, agli archi lussureggianti e alla voce appassionata di Gaynor, divenne un successo mondiale e la prima canzone ad apparire al primo posto nella neonata classifica Disco/Dance della rivista Billboard. Secondo il critico e storico della musica Vince Aletti, uno dei primi autori a prendere sul serio la disco, Gaynor ha stabilito uno standard per il genere. “Le donne hanno dominato la pista da ballo per anni, e Gloria è stata la prima ad avere un sound potente”, ha detto Aletti. “Si capiva che sarebbe durata”. Era definita la Regina della Discoteca, e non si trattava solo di una montatura di qualche organizzatore di concerti.

Ma è difficile rimanere al top, e le sue prospettive finirono seriamente in discussione qualche anno dopo, quando cadde all’indietro su un monitor da palco mentre si esibiva al Beacon Theater di New York. Subì un intervento chirurgico e affrontò una convalescenza estenuante. Poi arrivò I will survive, una canzone composta da Dino Fekaris e Freddie Perren, una coppia di cantautori che in passato aveva lavorato per la Motown, e che si adattava perfettamente alle sue caratteristiche. Con assoluta convinzione, Gaynor cantava di essere stata ferita da un amante, di essersi liberata e di aver tenuto la testa alta mentre si avviava verso una vita indipendente. Sapeva che la canzone era bella, ma l’etichetta discografica la relegò al lato B del suo singolo del 1978 Substitute. Ma i disc jockey iniziarono a trasmettere compulsivamente il disco, che raggiunse il primo posto nella Billboard Hot 100 e aggiudicandosi anche un Grammy.

I Will Survive è diventato il pezzo simbolo di Gaynor – che dice di non stancarsi mai di cantarlo – nonché un inno intramontabile al superamento delle difficoltà e dell’oppressione. Ancora oggi, è regolarmente inclusa nelle liste dei più grandi brani dance di tutti i tempi. Nel 2016, la Biblioteca del Congresso l’ha aggiunta al National Recording Registry, una raccolta di registrazioni americane considerate “culturalmente, storicamente o esteticamente significative”. “Oggi è più una canzone di vittoria”, ha detto la Gaynor. “Quando la canto ora, la canto per gli altri. Spero che li aiuti ad arrivare dove sono io e oltre. Perché in questo momento sono in uno stato di prosperità, non di sopravvivenza.”

Mentre I will survive iniziava a scalare le classifiche, sposò un ex agente dei trasporti pubblici di New York che divenne il suo manager. Dai racconti della cantante, a lui piaceva fare festa con la gente “in” e spendere i soldi che lei guadagnava. Le procurava ingaggi continui durante gli anni 80 e 90. Era particolarmente famosa in Europa, dove cantava utilizzando basi preregistrate (era più economico che ingaggiare una band): fu costretta a imparare a fingere e semplicemente a sopportare. Quando un conduttore televisivo britannico le rivolse domande incalzanti riguardo ai suoi impegni estenuanti, disse che amava viaggiare. Rimase sposata, ha detto, perché si sentiva indegna di essere amata. Sebbene continuasse a molto richiesta all’estero, negli Stati Uniti la sua immagine risentì del peso di una cattiva gestione. Nel 2005, Gaynor ottenne finalmente il divorzio.

Frequentatrice assidua della chiesa dalla metà degli anni 80, la signora Gaynor desiderava da tempo realizzare un album gospel. Nonostante la resistenza dei dirigenti del mondo della musica cristiana, che la vedevano solo come una cantante disco, ha continuato a impegnarsi, pagando per anni di tasca propria le sessioni di registrazione che hanno portato a Testimony.

L’album ha vinto un Grammy nel 2020 come miglior album gospel roots, rendendo Gaynor l’unica cantante ad aver vinto un Grammy nelle categorie disco e gospel. A giugno pubblicherà un Ep di dance pop, Happy Tears, un altro piccolo manuale di sopravvivenza per superare le avversità dell’esistenza. Arriva in un periodo di rinnovata popolarità, innescato in parte dal documentario del 2023 Gloria Gaynor – I will survive e dal Lifetime del 2024. “Il tempo trascorso nell’ombra mi ha aiutato a uscire dall’ombra, a esprimermi e a essere me stessa in un modo meno arrogante di quanto non fossi prima”, ha detto. Ha riso dolcemente, aggiungendo: “Credo di aver appena descritto l’umiltà”.

Gloria Gaynor: ‘I will survive’

Il mese scorso, Gaynor è salita sul palco del Bergen Performing Arts Center, un locale a circa un miglio e mezzo da casa sua. Indossando un tailleur pantalone blu royal con paillettes, ha cantato un mix di canzoni dance e gospel per un’ora e mezza davanti a un pubblico entusiasta. La sua voce non è più quella di una volta – il crescendo scintillante di Never Can Say Goodbye non è più raggiungibile – ma per certi versi è più emozionante che mai. Per gran parte della serata si è mossa con difficoltà sul palco, rimanendo più o meno nello stesso punto e prendendosi di tanto in tanto una pausa su una sedia. Poi è arrivato il pezzo di chiusura. Ovviamente, era I will survive, accolta come sempre con un boato.

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