Keira Knightley: “Il successo l’ho pagato caro, ero giovanissima, la mia famiglia mi ha salvata”
“Dovrei bere meno caffè, sto esagerando”. L’abitudine forse risale all’epoca in cui Keira Knightley ricorda di “non aver avuto un giorno libero dai set per cinque anni di fila”. Oggi, l’attrice di Pirati dei Caraibi, Love actually, di film come Orgoglio e pregiudizio o Espiazione ha rallentato il ritmo e concentrato le energie nelle azioni spericolate di Black doves (dal 5 dicembre su Netflix), la serie in cui interpreta una spia sotto copertura, moglie del ministro degli esteri britannico.
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Quarant’anni a marzo, due figlie di cinque e nove anni avute dal marito musicista James Righton, ex tastierista dei Klaxons, tornerà a breve sul set per il thriller La donna della cabina numero 10, dal bestseller di Ruth Ware.
“Black doves”, Keira Knightley spia sotto copertura in una serie action nella Londra natalizia
Il fascino delle spie al cinema: le piacerebbe interpretare un James Bond donna?
“Resto dell’idea che Bond sia un uomo. Sono una purista. Non c’è bisogno di scomodare Bond per pensare a un bel personaggio di spia al femminile. Più che a Ian Fleming, nel caso di Black doves penso a Le Carré, di cui sono fan: i suoi personaggi hanno tutti una grande malinconia di fondo perché vivono il costo del loro sacrificio, e allo stesso modo il mio paga il prezzo di una doppia vita. Ha accettato l’ingaggio dieci anni prima, quando voleva dare una svolta alla sua vita, ora ha il dubbio di aver fatto la scelta più opportuna perché non può tornare indietro. Cova rabbia, è come un animale in trappola. E un po’ lo sono stata anche io: sei mesi di riprese, non stavo così a lungo su un set da quando avevo ventuno anni. Né sapevo del tutto cosa avrei dovuto fare, quando abbiamo iniziato a girare, la sceneggiatura non era ancora completa, avevamo soltanto i copioni dei primi due capitoli, il resto è arrivato strada facendo. Un set un po’ jazz”.
Sei mesi di riprese e due bambine da gestire.
“Per fortuna abbiamo girato a Londra, e sempre la sera: uscivo di casa alle nove e mezza e tornavo a mezzanotte. Sono riuscita a portarle a scuola, seguirle quando facevano i compiti. Nessun senso di colpa: vai a lavorare sapendo di aver fatto la tua parte di madre. Cerco sempre di scegliere i progetti a partire dalla location: non posso ignorare l’impatto che il mio lavoro ha sulle vite delle mie figlie”.
In “Love actually” aveva diciotto anni, era uno dei suoi primi film, è diventato un cult, gli inglesi lo hanno votato come il film preferito per Natale.
“Non so perché sia tanto amato, io l’ho visto solo alla première, quando uscì, e mai più. Ho provato a farlo vedere alle mie figlie qualche anno fa ma a loro non interessa alcun film in cui ci sia io, unica eccezione Lo schiaccianoci. Quando uscì, Love actually non fu il grande successo che tutti si aspettavano, ma ricordo che tre anni dopo ero in America e tutti mi chiedevano di questo film, in vent’anni l’amore del pubblico non è mai venuto meno”.
Era all’inizio della sua carriera. Bei ricordi?
“È un periodo un po’ sfocato, non ho avuto un giorno libero per circa cinque anni di fila, ho un ricordo confuso di tutto quel periodo, immagini di set, luci lampeggianti… Per carità, sono grata perché se non fosse andata così non avrei poi fatto la carriera che ho fatto, né avuto la solidità economica che ho. Ma non lo rifarei, mai e poi mai”.
Raccontò di aver pagato con la depressione quel successo così repentino.
“A un certo punto ho capito che dovevo fare un passo indietro. Almeno per me è andata così, ognuno reagisce in modo personale all’idea che per molte persone tu sei una merce, che si fanno soldi su di te. Devi trovare il modo di proteggerti. Ci sono giovani attori che non hanno nessuno accanto, io sono stata fortunata perché la mia famiglia è stata molto protettiva con me. Lo stesso accade ai giovani musicisti: se sei fortunato, e impari a tutelarti, superi quella prima fase e capisci che ti è servita. Altrimenti non ce la fai. Io, da allora, ho prestato grande attenzione a calibrare impegni e tempo libero ma ci sono voluti anni per capire quanto sia decisivo il distacco, lo spazio privato”.
Condivide questa approccio con suo marito, anche lui artista?
“Di certo abbiamo in comune uno stile di vita fuori dai canoni, per un po’ di tempo non abbiamo niente da fare e poi viene un momento in cui c’è spazio solo per il lavoro. Sono vite che non si possono programmare, devi accettare una percentuale di caos, essere pronto a fare le valigie. Forse è per questo che gli artisti finiscono per stare insieme tra loro, hai bisogno di qualcuno che capisca”.
“Black doves” è ambientato durante le feste di Natale: un contesto inedito per una storia action-thriller.
“È vero, di solito in questo periodo proliferano le storie per famiglie, tutte pace e amore, la nostra racconta crimini e misfatti e vite stravolte. E comunque non ne potevo più del Natale: sei mesi sul set circondata dal Natale, alla fine non ne potevo più di canzoncine, ghirlande e luci”.
Come festeggerà?
“In Inghilterra non c’è una vera e propria tradizione come in Italia, da noi quelli sono i giorni in cui tutto è chiuso, c’è una grande atmosfera di tranquillità. Tranne per la sequenza di saggi e spettacoli scolastici: devo fare un bel respiro perché gli appuntamenti delle figlie sono parecchi. Entrambe le mie figlie credono ancora a Babbo Natale, anche se su quella di nove anni non metterei la mano sul fuoco”.
Ha interpretato tanti personaggi femminili: a quale vorrebbe che le ragazze guardassero?
“Non uso la parola “modello”, mi fa un po’ paura e non è il motivo per cui scelgo un ruolo. Sono attratta da personaggi che abbiano una criticità, una crepa. Detto questo, Sognando Beckham è la risposta alla domanda: entrambe le mie figlie giocano a calcio e tutte le loro amiche hanno visto quel film, ci sono ancora tantissime ragazze che mi dicono quanto sia stato importante per loro. Avevo diciassette anni, mi emoziona pensare che lasci ancora un segno”.
Tempo fa mise dei paletti sulle scene di sesso, secondo la Bbc sarebbe nel suo contratto da quando è diventata mamma.
“Temo che qualcuno abbia preso un po’ troppo alla lettera quello che avevo detto. Intendevo dire che le scene di sesso non devono essere inutili, ha presente quando vedi un film e dici “ok ora arriva la scena di sesso” e non ti senti a tuo agio mentre la osservi? Ecco, io non voglio più far parte di questo genere di narrazione. Poi ci sono i film che parlano di sesso, ed è un tema interessante. Che il regista sia un uomo, o una donna, non fa differenza, conta che la nudità abbia un senso, un obiettivo, non il solo scopo di solleticare delle fantasie, non mi interessa. Peraltro, avrei anche il corpo sbagliato…”.
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