Kubrick, Chaplin e i grandi da rivedere: a Cannes i classici sono capolavori
C’è un rischio. Il solito rischio che si affaccia all’orizzonte ogni volta che il cronista/critico si accinge a partire per Cannes o per Venezia. Il rischio che la sezione dei Classici – Cannes Classics, nel caso del festival francese – distolga l’attenzione dal concorso e in generale da tutti i film nuovi che avranno la propria première sulla Croisette. Del resto, rispondete sinceramente: dovendo scegliere fra la copia restaurata di La febbre dell’oro di Chaplin e un oscuro film bulgaro del quale non sapete nulla, voi cosa fareste? Non siate snob. Non fate finta di essere adepti di una setta che venera il cinema bulgaro (ehi, nessuno si offenda: la bellissima Bulgaria è solo il primo paese che ci è venuto in mente). Andreste a (ri)vedere Chaplin, e avreste ragione.
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Come è ormai abitudine di queste sezioni, la sezione diretta da Gérald Duchaussoy proporrà sia classici restaurati, sia documentari sulla storia del cinema. La selezione di quest’anno sembra particolarmente appetitosa. Si aprirà, martedì 13 maggio, con la copia restaurata di La febbre dell’oro di Charlie Chaplin che quest’anno compie un secolo di vita. E si chiuderà, venerdì 23 maggio, con un restauro in 4K di Barry Lyndon di Stanley Kubrick, film che fu snobbato da molti critici alla sua uscita nel 1975 e ha acquistato nel tempo lo status di classico.
È arduo fare classifiche all’interno delle filmografie di due colossi come Chaplin (inglese che lavorava in America) e Kubrick (americano che lavorava in Inghilterra). Ma è lecito dire che La febbre dell’oro è uno dei film in cui il mix di pathos e comicità, di lacrime e di risate, di commedia e di dramma in cui Chaplin era maestro tocca il suo culmine. Basterebbero due scene: quella in cui il Vagabondo, bloccato nella capanna nella neve e in procinto di morire di fame, cuoce e divora una scarpa; e la mitica “danza dei panini”. Due scene divertentissime in cui Chaplin racconta una storia di fame, amore e povertà degna di Shakespeare.
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In quanto a Barry Lyndon, è il film perfetto di un regista che sembra sempre attingere alla perfezione. Non c’è un solo fotogramma di Barry Lyndon che non sia una composizione pittorica capace di stregare l’occhio e la mente. Oggi, anche a causa delle piattaforme, ogni regista si sente in obbligo di girare film dalla durata fluviale: bene, Barry Lyndon dura 3 ore e 4 minuti e nessuno di questi 184 minuti è superfluo. C’è chi può, e c’è chi non può. Stanley Kubrick può.
Tra Chaplin e Kubrick ci saranno tanti altri titoli. Ci permettiamo, nel caso doveste passare da Cannes, di segnalarvi una “sporca decina” assolutamente imperdibile.
1 – Cronaca degli anni di brace di Mohamed Lakhdar Hamina vinse la Palma d’oro a Cannes cinquant’anni fa, nel 1975. È l’epopea del popolo algerino sotto la colonizzazione francese, ed è l’unico film targato Algeria ad aver vinto il premio a Cannes. Alla proiezione saranno presenti Tarek Lakhdar Hamina, Malik Lakhdar Hamina e Merwan Lakhdar Hamina, interpreti del film e figli del regista.
2 – Nuvole galleggianti è un film giapponese del 1955. Gli anni ’50 furono il decennio d’oro del cinema nipponico. Quando pensiamo a quel periodo noi occidentali snoccioliamo immediatamente tre nomi: Akira Kurosawa, Yasujiro Ozu (ci sono una dozzina di suoi film su RaiPlay, approfittatene) e Kenji Mizoguchi. Ebbene, c’era un quarto gigante, Mikio Naruse, degno della suddetta Trimurti.
Nuvole galleggianti racconta l’incontro di due ex amanti che non si vedono da anni, sullo sfondo del Giappone appena uscito dall’incubo della seconda guerra mondiale.
3 – Sempre per scrostare i luoghi comuni: del grande regista bengalese Satyajit molti conoscono la cosiddetta “Trilogia di Apu”, tre film neorealisti che negli anni ’50 stregarono la Mostra di Venezia (L’invitto vinse il Leone d’oro nel ’57). Giorni e notti nella foresta risale al 1970: è il ritorno alla terra di quattro amici di “alta” estrazione sociale. Sarà presente l’attrice Sharmila Tagore, parente del premio Nobel Rabindranath Tagore che di Ray fu amico e mentore.
4 – My Mom Jayne è un documentario di Mariska Hargitay. La “mamma Jayne” in questione è la famosa Jayne Mansfield, attrice e sex-symbol prematuramente scomparsa nel 1967.
La regista Mariska è figlia di uno dei matrimoni più bizzarri nella storia della cultura pop, quello fra Jayne e l’attore-body builder ungherese Mickey Hargitay. Uno sguardo dall’interno su una delle famiglie più interessanti e controverse di Hollywood.
5 – David Lynch è scomparso all’inizio di quest’anno ma non lo abbiamo certo dimenticato. Il sospetto che si tratti del più grande artista espresso dal cinema e dalla cultura americana dalla fine del secolo scorso in poi è assolutamente giustificato.
Il documentario francese David Lynch, une énigme à Hollywood (Welcome to Lynchland) di Stéphane Ghez promette di essere assai interessante. 6. Sono anche i cinquant’anni di Qualcuno volò sul nido del cuculo, come di Barry Lyndon. I due film si contesero l’Oscar nel 1976: vinse il cuculo, era un’annata pazzesca. Anche il film di Milos Forman sarà presente sulla Croisette.
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7 – Hard Boiled, titolo quanto mai programmatico del 1992, è uno dei gioielli noir di John Woo, maestro assoluto del cinema d’azione di Hong Kong dagli anni ’80 in poi. Due poliziotti danno la caccia a una banda di contrabbandieri, ma la trama non conta, conta solo lo stile fiammeggiante di Woo e il suo incredibile talento nel girare le scene d’azione. Woo è poi andato a Hollywood, con un certo successo, ma i suoi film hongkonghesi sono insuperabili.
8 – Le Cine sono, o erano, tre e anche Taiwan ha prodotto grande cinema. I taiwanesi più famosi sono Ang Lee e Hou Hsiao-Hsien, ma anche qua c’è un “terzo uomo” da recuperare, Edward Yang. Si potrà rivedere Yi Yi, uno dei suoi misconosciuti capolavori.
9 – Un artista da recuperare, con il fortissimo rischio di innamorarsene perdutamente, è il francese Marcel Pagnol. Oddio, la definizione “francese” gli va stretta: Pagnol è il poeta inimitabile della Provenza, raccontata con ironia nei suoi film e nei suoi bellissimi romanzi. È uno di quei narratori che ti fanno venir voglia di “vivere” nei suoi racconti, assieme ai suoi personaggi. A Cannes è una sorta di enfant du pays. A 130 anni dalla nascita, gli si rende omaggio con la proiezione di Merlusse, un film del 1935 restaurato con il contributo della municipalità cannense. Ricorrono anche i 70 anni dall’edizione di Cannes in cui fu presidente della giuria: diede la Palma al film americano Marty, anche premio Oscar: una bellissima scelta.
10 – E infine, non è Cannes Classics se prima o poi non spunta Quentin Tarantino. Si può amare o non amare il suo cinema, ma una cosa è indiscutibile: Quentin è un sincero innamorato del cinema altrui e non perde occasione di rendere omaggio ai suoi autori preferiti. Quest’anno presenterà due western di George Sherman, un grande piuttosto dimenticato (ma non da Tarantino!) della gloriosa “serie B” americana. Fu il regista di fiducia di John Wayne negli anni ’30, quando il divo era ancora… un divo dei B-Movies, appunto, prima che John Ford lo scegliesse per Ombre rosse e lo rendesse la star più redditizia di Hollywood. Cento film in 35 anni di carriera: Sherman era uno stakanovista del cinema. Cannes propone Figlio del delitto (1949), da un romanzo del prolifico scrittore western Zane Grey, e Pelle di bronzo (1950, assai più bello il titolo originale Comanche Territory), un’epopea sull’indipendenza del Texas. Quando Hollywood era davvero Hollywood.
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