La canzone della Terra, in streaming su MYmovies un viaggio mozzafiato nel paesaggio e nella memoria

Prodotto da Liv Ullman e Wim Wenders, lo scorso anno candidato agli Oscar per la Norvegia, La canzone della terra è l’elogio di una regista, Margreth Olin (classe 1970, una lunga carriera da documentarista, già collaboratrice di Wenders nel 2013 per il progetto collettivo Cathedrals of Culture), al suo mondo d’origine e alla sua famiglia.

Siamo in Norvegia, nella valle Oldedalen, tra le catene montuose del sud-ovest del Paese, dove la regista è cresciuta e dove ancora vivono i suoi genitori, il padre Jørgen Mykløen e la madre Magnhild Kongsjord. Sono loro i protagonisti del film, significativamente aperto, però, dalla voce narrante della regista (che in questo modo invita lo spettatore a entrare nel suo stesso mondo) e da una canzone popolare che, alla maniera semplice e complessa dei miti popolari, celebra la maestosità della natura e insieme la fragilità della vita.

Nel corso del film, poi, la coppia di anziani coniugi guida lo spettatore tra paesaggi di bellezza mozzafiato, raccontando la propria vita e mettendola in relazione al respiro silenzioso eppure maestoso di monti, laghi, foreste, nuvole…

L’intenzione della regista è far dialogare la dimensione privata dell’individuo di fronte alla grandiosità spaventosa e commovente del mondo selvaggio: il modello principale non è cinematografico, ma pittorico, e richiama il “Viandante sul mare di nebbia” di Friedrich, dipinto chiave del romanticismo pittorico prosaicamente aggiornato da una tecnica che bilancia l’estetica digitale delle riprese a volo d’uccello con i droni e l’incanto dello sguardo.

La dimensione imperscrutabile dei monti norvegesi è accomunata a riprese ravvicinate del corpo umano, secondo un classico procedimento di accostamento di opposti.

La canzone della terra è in fondo un film semplice: i solchi formati da crepacci, ruscelli, fiordi si riverberano nelle striature della pelle di un uomo anziano, unendo sullo schermo macro e microcosmo. L’accostamento è immediato, ma è la regista stessa a non volere spingersi oltre: nella zona in cui è cresciuta, dove la sua famiglia ha le sue radici e dove si sente il riverbero di un passato senza storia, la vita si ripete all’infinito, in sintonia con il passare delle stagioni, i mutamenti dello spazio, l’evoluzione di panorami, cieli annuvolati, creste innevate.

La sterminata grandiosità della natura dialoga così con la minuta, preziosissima singolarità degli individui, perché è cosi che la canzone della terra procede, unendo cioè l’ineffabile con il concreto, l’infinitamente grande con l’infinitamente piccolo, entrambi elementi del creato.

Certo, in tempi come questi la celebrazione della vita semplice del padre di Olin e, in generale, la scelta di usare il cinema per ricordare nel modo più elegante possibile la bellezza di un mondo incontaminato, non può non diventare anche una scelta di campo: La canzone della terra è un film ecologista, un monito contro il disinteresse dell’umanità verso le prossime generazioni. E così il tempo senza dimensione che ha forgiato vette e laghi, fiumi e foreste viene proiettato verso un futuro incerto chiamando in causa il senso di responsabilità di ogni spettatore.

Al tempo stesso, vista l’eleganza delle riprese e la precisione calibrata delle relazioni fra l’uomo e la natura, lo stesso spettatore ideale del film di Margreth Olin è chiamato anche a essere un po’ turista, ammirato e chiamato ad ascoltare l’armonia del mondo, mentre la terra intona una canzone senza inizio e senza fine che l’umanità ha il dovere di continuare a seguire.

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