La messa è finita, 40 anni dopo. Guarda il film di Nanni Moretti in streaming su MYmovies ONE
È il 1985. Nanni Moretti si toglie (almeno temporaneamente) gli abiti e la barba di Michele Apicella per indossare la tonaca (si badi bene: non il clergyman) di don Giulio. A Berlino gli assegnano l’Orso d’argento e in Italia, come spesso accade quando un autore sembra mutare registro, suscita discussioni.
Innanzitutto per la scelta dell’attività del protagonista, ruolo che continua ricoprire. Perché indossare l’abito talare sul grande schermo comporta da subito riferimenti al cinema e ai suoi personaggi. Si può andare da don Camillo a don Pietro di Roma città aperta, dal Mastroianni de La moglie del prete al Pozzetto di Testa o croce.
Il don Giulio di Nanni si stacca (e non poteva essere diversamente) da qualsiasi suo predecessore sin dalla sequenza che accompagna i titoli di testa. Sostenuto dall’intensa partitura di Nicola Piovani, un Moretti sbarbato e non ancora identificabile come sacerdote, dopo aver guardato il panorama, camminato in una strada ed essersi messo a pescare sulla riva, si tuffa in mare.
Quella distesa d’acqua finisce con l’assumere un valore simbolico. Don Giulio sta per lasciare l’isola su cui è rimasto a lungo per tuffarsi tra i flutti di un’umanità urbana in quella Roma che fa fatica a riconoscere e in cui non si riconosce.
L’avere scelto il ruolo del sacerdote assume così una significazione precisa. È lui la persona a cui si dovrebbe poter fare riferimento, non solo nella ritualità del confessionale ma anche nei più normali incontri e colloqui. Otto anni dopo in Piovono pietre, Ken Loach, a cui non si possono certamente ascrivere particolari simpatie per la Chiesa cattolica, assegnerà proprio a un prete quel tipo di funzione.
Il don Giulio di Moretti invece non riesce ad uscire dal senso di solitudine che lo pervade e che il microcosmo che lo circonda non invita certo a superare. Il suo tormento interiore, la sua necessità di rigore morale (non moralistico), il bisogno di trovare spazi per il silenzio magari da interrompere con un richiamo improvviso e gridato.
Sono tutti elementi che ne caratterizzano la profonda umanità. Don Giulio non sfugge al confronto ma, al contempo, vorrebbe potersi ritirare nel momento in cui si accorge (o pensa di) non poter dare abbastanza agli altri.
La sua è una messa che finisce in un luogo per tornare ad essere celebrata in un altrove in cui, forse, sia possibile incontrare esseri umani meno fragili o comunque meno usurati rispetto ai ritmi imposti dalla cosiddetta civiltà occidentale.
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