La Mostra di Venezia e i suoi vincitori: una lunga storia di cinema che racconta il nostro Paese
Ottantadue edizioni della Mostra del cinema di Venezia, 93 anni di storia: da quando la rassegna era cosa per pochissimi eletti a fenomeno popolare con più di duecentomila spettatori. Il Lido è allo stesso tempo scrigno del cinema del passato e proiezione verso l’immaginario del futuro, la Mostra è classica, come lo sono i film restaurati che ogni anno tornano a vivere in Sala Grande, e immersiva, grazie alla selezione di realtà virtuale all’isola del Lazzaretto Vecchio (le prenotazioni sempre in aumento hanno superato le dodicimila lo scorso anno). Nel mezzo, i film che raccontano il mondo in cui viviamo, sempre più complicato, drammatico e frammentato per il quale il cinema ci fornisce uno sguardo.
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Da una giovanissima Katharine Hepburn premiata come Jo March nel Piccole donne del 1933 al film pro eutanasia di Pedro Almodóvar, la storia della Mostra attraverso i film e i cineasti premiati è una fotografia del paese e di come il cinema abbia condizionato la società. Come è cambiata la Mostra da quando la sera del 6 agosto 1932 venne presentato quello che poi sarebbe diventato un cult del genere, Dr. Jekyll and Mr. Hyde di Rouben Mamoulian, il primo film non muto tratto dal romanzo di Stevenson?
I numeri della Mostra
Sicuramente è cresciuta in numeri, ambizioni e spettatori. Quella prima edizione storica, nata dalla volontà del conte Giuseppe Volpi di Misurata, presidente della Biennale, ebbe venticinquemila spettatori; nel 2024, oltre ai 94.703 biglietti venduti al pubblico (erano 83.266 nel 2023,+14%) anche 13.866 accrediti effettivamente ritirati (erano13.023 nel 2023, + 6.5%). La Mostra fin da subito ebbe un grande compito: quello di sancire che il cinema era arte perché la Mostra era d’Arte cinematografica e sotto il cappello della Biennale.
I ricordi di Monicelli
Che la questione fosse essenziale e non formale ce lo confermò anni fa uno dei grandi maestri del cinema italiano, Mario Monicelli. Che assistette alla seconda edizione della rassegna. «Negli anni Trenta ancora ci si domandava se il cinema fosse un’arte oppure no, era ancora controverso», ci aveva raccontato, «la Mostra di Venezia sancì che lo era. Ci andai con un mio amico, avevo 17 anni, volevo vedere questa “mostra d’arte cinematografica”, ci siamo stati tre o quattro giorni. Non c’era il Palazzo del cinema, c’erano 6 o 7 film, ricordo che vidi L’uomo di Aran di Robert Joseph Flaherty, un documentario». Probabilmente i film erano di più perché le nazioni rappresentate, ricordano gli archivi della Mostra, erano già diciannove e trecento già i giornalisti accreditati. È la prima edizione competitiva e una giovanissima Katharine Hepburn vince il premio per la Jo March di Piccole donne.
Nasce la Coppa Volpi, poi l’arrivo della guerra
Poi la Mostra diventa annuale, già nel ’35 gli spettatori sono quarantamila e viene creata la Coppa Volpi, riconoscimento per le interpretazioni, nel ’36 è il primo anno della Giuria internazionale, nella serata di inaugurazione ben quattromila invitati, l’anno dopo è quello che vede la prima edizione nel Palazzo del cinema costruito a tempi di record e ancora oggi tempio dei cineasti con la sua Sala Grande definita da Federico Fellini “l’esame di maturità di ogni regista”. Le edizioni degli anni ’40, ’41 e ’42 non si tennero al Lido e nella storia della Biennale non vengono conteggiate, la Mostra riprende nel 1946, a conflitto terminato, ma le proiezioni si svolgono, sotto la direzione di Elio Zorzi, al cinema San Marco perché il Palazzo del cinema è requisito dagli alleati.
Nasce il neorealismo, arrivano le star e ruggisce il Leone
Nonostante le difficoltà del Dopoguerra, lo spirito di libertà che si respira nel paese si riflette nel cinema: tra i titoli di quell’anno c’è Paisà (1946) di Roberto Rossellini, l’anteprima è il 18 settembre. Gli spettatori per quell’edizione storica, la prima in un’Italia che è diventata Repubblica, sono novantamila. C’è fame di tutto, anche di cinema, è la nascita del Neorealismo. La Mostra torna a ospitare le grandi star americane come Rita Hayworth, Joseph Cotten, Olivia de Havilland, e crea i propri nuovi divi come Anna Magnani, già amata per il film del ’45 Roma città aperta, poi premiata con la Coppa Volpi per la migliore attrice nel ‘47 per L’onorevole Angelina di Luigi Zampa. Nel 1949 si torna finalmente al Lido, nel ’50 si tocca la cifra di centomila spettatori e si inaugura il premio ancor oggi più ambito: il Leone di San Marco al miglior film, vinto da Manon di Henri-Georges Clouzot.
Gli anni 50 e l’apertura al mondo
Negli anni Cinquanta la Mostra si fa sempre più internazionale, con la fine della guerra era tornata in concorso la cinematografia russa – bandita negli anni del conflitto – ma ora lo sguardo si allarga: film e autori arrivano dal Giappone, dall’India, dall’Est Europa. Sul fronte del cinema italiano è il passaggio di consegne tra il cinema neorealista e la commedia all’italiana, nell’ultima edizione di quel decennio, il ’59, il Leone d’oro viene dato ex aequo a due film diversissimi, La grande guerra di Monicelli e Il generale della Rovere di Rossellini. “Il Leone d’oro è stato dato con una certa riluttanza – aveva raccontato Monicelli – In qualche modo quel premio è stato assegnato per volere del pubblico che, durante l’ultima serata alla Mostra ebbe una tale reazione positiva che in qualche modo finì per forzare il giudizio della giuria”.
Cinema e contestazione
Gli anni Sessanta furono quelli complessi della contestazione, la Mostra veniva messa in crisi dal suo interno. Luchino Visconti subì una sconfitta con un capolavoro come Rocco e i suoi fratelli, a scapito di un film del francese André Cayatte che oggi nessuno ricorda, ma il pubblico fischiò a lungo il verdetto durante la serata di premiazione. Cambia direttore, arriva Luigi Chiarini che rinnova la selezione e propone nuove voci, sono gli anni degli esordi di Pasolini, Bertolucci, i fratelli Taviani, De Seta, Zurlini, Ferreri, Vancini, Bellocchio, Montaldo, Brass per parlare degli autori italiani, ma la contestazione più grande arriva con il Sessantotto, che ebbe come prima grande conseguenza l’eliminazione della competizione per ben dieci edizioni. In quegli anni alla Mostra si sostituiscono le Giornate del cinema italiano, proiezioni e dibattiti con gli autori da svolgersi nelle piazze della centro storico della città, in contrasto con la Mostra, nel ’73 ci partecipano diciottomila spettatori.
La crisi degli anni 70
Gli anni Settanta sono difficili e nonostante ci passino autori come Kubrick e Bertolucci, Wenders e Ferreri sono anni anche di diminuzione del pubblico, di crisi. Nel ’79 la Mostra riparte con un nuovo direttore, Carlo Lizzani, che rilancia il dibattito sul cinema e la sua funzione, convoca quanti più attori può per farli discutere sul tema “Gli anni Ottanta del cinema”, dando così il via al dibattito sul cinema e le nuove tecnologie. Con la complicità del critico Enzo Ungari comincia a proporre una Mostra più spettacolare, e una nuova sezione, Mezzogiorno-Mezzanotte, dedicata al cinema del fantastico: I predatori dell’arca perduta (1981) e E.T. (1982) di Spielberg, oltre a Star Wars – L’Impero colpisce ancora (1980), o I cancelli del cielo di Cimino (1982), Poltergeist di Tobe Hooper (1982). Torna anche la competizione, viene assegnato il Leone d’oro per la miglior opera prima che la giuria conferisce a nuovi autori come l’Emir Kusturica di Ti ricordi di Dolly Bell? (1981) o il Peter Greenaway di I misteri del giardino di Compton House (1982).
Torna il pubblico, Pontecorvo apre agli studenti
Nel 1983 torna Gian Luigi Rondi dopo le dimissioni del 1972 per le contestazioni, l’anno dopo nasce la Settimana Internazionale della Critica, gestita autonomamente dal Sindacato critici, e dedicata a opere prime e seconde. Lentamente ricominciano a crescere il numero degli spettatori e quello degli accreditati, i critici arrivano a essere, nel 1990, duemilacinquecento. Tornano le polemiche sui Leoni d’oro, il pubblico contesta le scelte delle giurie, finché il regista Gillo Pontecorvo nominato direttore si dà come obiettivo di “svecchiare” la Mostra, crea l’accredito culturale per gli studenti di cinema. Tra i film e gli autori lanciati nel periodo di Pontecorvo, vanno ricordati i giovani italiani Mario Martone (Morte di un matematico napoletano), Aurelio Grimaldi (La discesa di Aclà a Floristella), Paolo Virzì (La bella vita), e poi Peter Jackson, Sally Potter, Neil Jordan, Julian Schnabel.
Tanto pubblico e nuovi spazi
Alla fine degli anni Novanta viene realizzato anche il progetto di un’ampia tensostruttura che si chiamerà dapprima PalaLido fino al nome odierno, PalaBiennale, per ospitare il pubblico sempre più numeroso alle proiezioni dei film. Nel 2001 i posti in sala totali da 4.450 diventano 5.400 e continuano a crescere con sempre nuovi spazi compresa la Sala Giardino, nel 2023 la capienza complessiva è di 6.623 poltrone. E se nel 2003 i biglietti venduti erano quarantamila, vent’anni dopo sono diventati ottantacinquemila con tredicimila accreditati. Ci sono stati gli anni difficili della pandemia, le mascherine, il distanziamento, l’eliminazione delle code, lo sciopero di attori e autori a Hollywood. Ma Venezia non si è mai fermata e spesso ha indicato il titolo che mesi dopo si è affermato agli Oscar.
L’ultimo Leone italiano
Negli ultimi dieci anni il Leone d’oro è andato a Ti Guardo del regista cileno Lorenzo Vigas (2015); The woman who left del filippino Lav Diaz, il primo a vincere il premio per il proprio paese (2016); La forma dell’acqua di Guillermo del Toro (2017); Roma diretto da Alfonso Cuarón (2018); Joker di Todd Philips (2019); Nomadland di Chloé Zhao (2020); La scelta di Anne – L’Événement della regista francese Audrey Diwan (2021); il documentario Beauty and the Bloodshed di Laura Poitras (2022); Poor Things (Povere Creature!) di Yorgos Lanthimos (2023); lo scorso anno La stanza accanto, primo film in inglese di Pedro Almodóvar. L’ultimo titolo italiano ad aver vinto il Leone d’oro è il documentario di Gianfranco Rosi Sacro Gra nel 2013. Chissà se quest’anno un italiano sui cinque in concorso riuscirà a riconquistarlo?
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