L’esule Rasoulof: “Ringrazio Cecilia Sala, ha rischiato in Iran per raccontare la lotta delle donne”

Il regista iraniano Mohammad Rasoulof, fuggito lo scorso maggio dall’Iran dove aveva trascorso mesi in prigione e a cui era stato proibito di girare film, accompagna a Roma l’uscita di Il seme del fico sacro, presentato allo scorso Festival di Cannes. Il film esce in sala il 20 febbraio con Lucky Red e Bim.

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Da quando ci siamo incontrati al Festival di Cannes e lei era appena fuggito dall’Iran, Il seme del fico sacro è sempre stato di attualità straordinaria e oggi per noi lo è ancora di più. Perché racconta la battaglia che in Iran si fa per la libertà sul corpo delle giovani donne, anche in relazione a quello che è successo a Cecilia Sala, arrestata per la sua attività con le donne ed è stata messa nella stessa prigione in cui lei è stato. Cosa pensa della vicenda e cosa ci racconta di quella prigione che lei ha vissuto?

“Sì, innanzitutto vorrei ringraziare e fare i complimenti a Cecilia Sala per aver scelto di correre il rischio e andare in Iran per vedere da vicino la condizione delle donne iraniane. Ed è stata arrestata. Sì, la prigione di Evin la conosco bene, ci ho passato tanto tempo. Abbiamo vissuto esperienze simili. Posso ben immaginare quanto sia scioccante questa esperienza, soprattutto per una persona europea. Purtroppo è il modo in cui la Repubblica islamica porta avanti la sua strategia: prendere in ostaggio persone straniere per usarle negli scambi e mi dispiace”.

La vicenda si è conclusa velocemente. Cosa pensa di questo?

“Penso che la Repubblica islamica sia in una situazione diversa oggi rispetto al passato: è una situazione molto più fragile. Ciò nonostante sono comunque riusciti a ottenere ciò che volevano. E ci sono tuttora altri cittadini stranieri nelle carceri iraniane, dalla Svezia, dalla Francia per esempio, e anche loro vengono utilizzati per scambi che la Repubblica islamica vuole ottenere in questo modo”.

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C’è stato nell’opinione pubblica italiana qualcuno che ha detto: Sala non doveva andare, poteva stare a casa sua, perché andare lì?

“Credo che questa sia una scelta di tipo personale e credo anche che debba rimanere tale, quella di prendersi il rischio in quanto artista, in quanto regista, in quanto giornalista e che non ci sia una linea guida valida e giusta per tutti. Dipende da quanto ti senti responsabile nei confronti della società intorno a te. E anche quanto per la ricerca della dignità, del rispetto di sé e della libertà siano importanti. Per me sono una priorità ineluttabile”.

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Quanto è importante la battaglia che lei ha raccontato nel film delle donne? Quanto questa battaglia ancora vive, quanto il governo iraniano cerca di spegnerla e quanto il cambio di governo degli Stati Uniti, dove ora c’è una destra estrema come in altri Paesi occidentali, rischia di indebolire la lotta femminile dentro l’Iran?

“Credo che quello del potere del patriarcato sia una condizione globale che esiste anche nei Paesi considerati più progressisti. Da questo punto di vista sono tanti i problemi in tutti i Paesi, è un problema tutt’altro che risolto. E credo che sia anche naturale che la destra sostenga e cerchi di mantenere il più possibile il patriarcato perché questo gli consente di mantenere il potere e che ogni volta che trovi l’occasione per conservarlo e riaffermarlo. Credo che da questo punto di vista abbiamo tutti molto da imparare. Anche in Iran per capire come affrontare il difficile periodo che si prospetta a livello globale, Occidente compreso. È una lezione che dobbiamo continuare a imparare”.

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