Ligabue a Campovolo: “Non dobbiamo credere a chi ci dice che il mondo non può cambiare”
L’allerta meteo che prima fa rosolare al sole, poi porta nuvole cariche di pioggia ai centomila della Rcf Arena di Campovolo, sembra la natura che vuol dire la sua su ciò che Ligabue racconta dal palco. Cambiamento climatico, guerre, i potenti del mondo che scappano nello spazio ballando sul mondo in fiamme: tra immagini e parole, “La notte di Certe Notti” diventa anche un pamphlet sociale per Liga. Che pare dirci che in questo contesto non esporsi è esser parte del problema.
«Da adolescente, negli anni ’70, ero convinto il mondo si potesse cambiare, renderlo più equo – spiega nel backstage -. Operai, intellettuali e studenti andavano nella stessa direzione, oggi vedo l’opposto di quel sogno e tutto sarebbe da smontare». Sul palco l’elefante dentro l’immensa stanza di Campovolo inizia a esser portato alla luce dalla crisi climatica. «Ci vogliono dire che in estate ha sempre fatto caldo – arringa Liga -, che vuoi che siano i 350 allagamenti lo scorso anno in Italia e tutta la gente che ha perso tutto».
Numeri impietosi, 7 milioni di morti per inquinamento al mondo, 7000 comuni italiani a rischio frane e alluvioni, scorrono sui maxischermi. Ma il discorso è ampio, come quando una emozionante Il mio nome è mai più diventa sfondo per dire “Basta col massacro a Gaza”, ma anche in Ucraina, Sudan e “gli altri 56 in corso nel mondo”. «In Palestina tanto è l’orrore che ogni parola sembra inutile, ma abbiamo bisogno di pensare ci sarà una fine a questo massacro», continua.

Che l’artista non possa fermare gli orrori con le note Ligabue lo sa, «le canzoni non hanno più l’impatto di quando uscì “Il mio nome è mai più”, diluite dalla massa di informazioni da cui siamo sovrastati sui social, ma non si può tacere e basta». La speranza «arriva forse dal genere femminile»: Rita Levi Montalcini a Raffaella Carrà, da Nilde Iotti a Liliana Segre, da Bebe Vio ad Anna Magnani.
L’ambientazione ricorrente è una Las Vegas a volte post apocalittica, a volte sfarzosa e luccicante. Del resto in quel “Buon compleanno, Elvis” che compie 30 anni Las Vegas era ben presente.
Su e giù dal palco ci sono pure momenti di intimità tra centomila sconosciuti, in un mondo della musica che sempre più vive di gigantismo. E, attenzione, centomila persone, non sold out, che sarebbe a 103mila. Perché «dichiarare sold out è diventata un’ossessione, dobbiamo capire tutti che pure 20mila biglietti sono tanti – interviene Ferdinando Salzano di F&P e promoter dell’evento sul caso dei sold out gonfiati -. Cambiare i prezzi in corsa è scorretto ma il mercato live sta bene, sono polemiche esagerate».
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