Lo sport preferito a Sanremo: diventare novelli Umberto Eco, commentando il Festival
È uno sport affascinante, ossessivo, trasversalissimo. Spiega gli ascolti sempre più trionfali (la “total audience”!) e tutto il resto. Sanremo non si guarda più: Sanremo si commenta. Io non conosco nessuno che in queste ore, me compreso, non abbia espresso la sua opinione, non abbia dato la sua pagella. E vi posso assicurare che anche nella irrilevante residuale bolla intellettuale, dove Sanremo era parola oscena e bandita negli anni di Baudo ma perfino in quelli di Fazio e Bonolis, che pure miravano a intellettualizzare il festival, non tira più la stessa aria.
Tra impegno e disimpegno Sanremo (non) rischia la polemica
Ieri sera scrittori, critici, studiosi, docenti universitari sembravano presi da una strana febbre. Ed essendo in larga parte boomer, usavano e useranno Facebook come fosse lo spazio per un live tweeting: un post ogni dieci minuti. Carlo Conti, i look, le canzoni, un misto di sprezzatura ironica e di patetica certificazione del loro essere lì, come tutti, in pigiama e pantofole, senza alternative, a guardare Sanremo. Stamattina è presumibile che si siano rimessi sulle loro materie, a correggere bozze, che siano insomma tornati sulla cultura che una volta si chiamava alta. Qualcosa è definitivamente mutato: quasi nessuno si nasconde più dietro la formula cautelativa “lo guardo Sanremo solo per capire, per farmi un’idea”.
I titoli e il significato delle canzoni in gara a Sanremo 2025
Nemmeno fossero i novelli Umberto Eco. Lo commentano da esperti presunti di linguaggi televisivi, di tempi di conduzione, di rapporto fra intrattenimento e gara canora. Sono bellissimi. Ogni tanto immagino un elicottero che li preleva dal tetto di casa e li scarica sul palco dell’Ariston, così come sono: in pigiama, in ciabatte, i capelli scarmigliati, il libro sofisticato nella tasca della vestaglia con la matita a pagina 6, perché lì si sono fermati. E a quel punto si scansa Carlo Conti, si scansa Jovanotti e condurre tocca a loro. Sono bellissimi perché sono diventati come tutti, come Bouvard e Pécuchet, gli antieroi dell’ultimo romanzo di Flaubert che credono di poter dire la loro su tutto. In questa prospettiva occorre riconoscere e arrendersi alla sanremizzazione delle nostre vite, una specie di marxismo tv realizzato non da Mike, non da Baudo, ma in definitiva dalla pandemia e da Amadeus.
Ascolti Sanremo, il debutto vola: 12,6 milioni di spettatori. Conti: “Nessun paragone col passato”
Non c’è più spazio per i bastian contrari, è saltata la dicotomia vecchi giovani perché perfino i giovani guardano – anzi commentano – Sanremo; e chi se ne frega delle obiezioni, delle critiche, del questo mi piace questo non mi piace, l’importante è stare lì, chi davanti allo schermo vecchio, chi davanti agli schermini che ora l’Auditel registra. L’ironia, il sarcasmo, la “memizzazione” sono linfa acida e vitale, perché non è vero – come canta Noemi – che se t’innamori muori: muori solo se non fai la tua superflua battuta. Ah, caro intellettuale diventato italiano medio, come una volta usava dire, come ti sei ridotto.
Lucio Corsi, la prima volta a Sanremo: “Nick Cave mi ha insegnato a usare l’anima, non la politica”
Sai cosa? Ti senti più intelligente ma forse non lo sei. La canzone giusta per te è quella del lunare Lucio Corsi. E non perché, come credi, sia quella più indie, ma perché smonta – con grande e divertita poesia – anche il tuo trucco. Volevi essere un duro, però non sei nessuno. Volevi essere un duro, sei cintura bianca di judo. Volevi essere diverso e per fortuna sei come tutti. Come tutta l’Italia. Lo dice il jingle inoppugnabile e bruttino scelto da Carlo Conti, tutta l’Italia, tutta l’Italia. «Volevo essere un duro/ però non sono nessuno/ Non sono altro che Lucio». Una rivelazione. Artistica, sì; e sociologica. Universale.
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