Londra è meno swinging: costi troppo alti, i club storici spengono la musica

“Dopo il periodo del lockdown molto è cambiato per i piccoli club di Londra con musica dal vivo. Tantissimi locali hanno chiuso e quelli rimasti aperti soffrono. Può sembrare un paradosso visto che la grande industria commerciale della musica riempie enormi spazi come la Wembley Arena, ma la realtà dei pub e delle piccole venue è completamente diversa”. Parola di Lily Resta, giovane fotografa che da diversi anni ritrae la scena rock underground e della club culture di Londra e del suo hinterland. Il contraltare ai soldout dei megaconcerti degli Oasis è la desertificazione dei piccoli spazi indipendenti che da sempre fanno salire sul palco le band di talento non famose. Insomma, Londra è decisamente meno swinging. E questo è un problema per la creatività del rock inglese, finora il più innovativo del mondo grazie anche a questa filiera, e che negli ultimi anni si sta inaridendo, rischiando di interrompere la cinghia di trasmissione del pop britannico.

Se tra la metà e la fine degli anni 60 a Londra non ci fosse stato l’Ufo club, i Pink Floyd avrebbero fatto molta più fatica a emergere. O forse non ce l’avrebbero proprio fatta. E la storia del rock sarebbe stata radicalmente diversa, anche quella di oggi: Lorde, per fare solo un nome della scena attuale, si esibiva al Madame Jojo’s, che ora è chiuso. Qualche grosso nome del rock avverte il rischio e cerca di mettere in campo il proprio peso: i Sex Pistols (senza Johnny Rotten) hanno fatto 3 conerti per raccogliere fondi a favore del Bush Hall, storico spazio che contiene 400 spettatori ed è a forte rischio chiusura.

Filippo Mei, booking agent della grande agenzia internazionale ITB (con sede a Londra), la pensa allo stesso modo. “L’aumento dei costi ha danneggiato sia i locali che i piccoli festival. Infatti oggi un artista spende molto di più per andare a suonare. In altri casi chi possiede il palazzo che ospita un locale che fa musica dal vivo può pensare di cambiare affittuario per fare più soldi – spiega Mei, che lavora anche nel team dei Måneskin – Il problema è che ci saranno meno band in futuro, ma qualcosa si muove: Coldplay e Dua Lipa danno una parte dell’incasso biglietti a MVT, l’organizzazione dei piccoli spazi per la musica he sta facendo una campagna per far assegnare 1 sterlina ai piccoli locali di ogni biglietto di concerti. In più sta cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica per far abbassare l’Iva in questo settore, perché comunque chiunque è fuori dal circuito mainstream fa molta fatica”. Insomma, nonostante il fatto che l’industria musicale britannica abbia immesso 6,7 miliardi di sterline nel solo 2022 nell’economia della terra di Albione, i locali più piccoli di Londra sono in crisi. A causa di una somma di fattori, non ultimo la Brexit.

Secondo il rapporto annuale 2023 del Music Venues Trust, appunto MVT, l’anno scorso è stato il peggiore in termini di chiusura di locali da un decennio. In tutto il Regno Unito nel 2023 hanno chiuso due locali alla settimana, il che si è tradotto in numerosi posti di lavoro persi in una economia che nel Regno Unito mette in moto 501 milioni di sterline e occupa 28.000 persone. Ma il margine di profitto dei locali, lo scorso anno, è stato dello 0,5% e il 38% di queste strutture di base ha registrato una perdita. Al dato economico, meno affascinante per i più, si somma lo “sconcerto” dal punto di vista culturale. Elton John, che ha appena dato l’addio ai live in contesti mega, si esibì per la prima volta in uno scalcinato pub del nord ovest di Londra. E la rockstar non l’ha dimenticato: nel suo libro di memorie Me, ha scritto che è un diventato un artista “senza paura” grazie al fatto che quando salì sul palco del Northwood Hills Hotel imparò a schivare sia i pugni che volavano e i bicchieri di birra scagliati verso di lui quando scoppiavano le risse. E Sir Elton si è pure rivolto al governo britannico invitandolo a prendere contromisure.

“È triste vedere l’aumentare di catene fast food che spazzano via i club, in questo modo le giovani band hanno meno possibilità di affermarsi. L’unica area che resiste con una grande concentrazione di spazi per il live è Camden, per esempio con The Dublin Castle che ha una ottima programmazione ed è sempre attivo”, racconta Marco Simoncelli, chitarrista della rockband The Heat Inc., che qualche giorno fa hanno impressionato pubblico e critica al Rockstock festival in Galles, che schierava Uriah Heep e moltissimi altri, “mi ricordo una atmosfera pazzesca quando abbiamo suonato al The Monarch, sempre a Camden, che invece ha chiuso. Stessa sorte toccata al 12 bar in centro a Denmark Street, per paradosso in mezzo a tanti negozi di chitarre. Ci hanno suonato i Cream, i Led Zeppelin e tanti altri: è stata una chiusura molto dolorosa”.

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The Heat Inc, la band inglese in cui suona Marco è lanciatissima e sta per uscire il secondo album (dopo l’exploit del precedente disco che contiene Get Wild ascoltato anche alla BBC). Sulla stessa lunghezza d’onda il cantautore Davide Balestri attualmente in finale al Tour Music Fest con Se non ora quando: “Ho suonato al Monarch prima della sua chiusura, in una session insieme alla mia amica turca cantante che vive a Londra Meltem Yumulgan. L’atmosfera era incandescente, peccato quella di quel club è tra le maggiori perdite, ma almeno quel gruppo di lavoro si è spostato all’Underworld dove ho avuto il piacere di salire sul palco”, spiega il musicista. “E suonai anche al Big Red non lontanissimo da Camden, con una cover band dei Kiss: purtroppo anche questo ha chiuso”. E sono ancora tanti gli italiani che vivono a Londra – come Michele Alessandrini, appassionato di rock che concordano: la storia della musica a Londra è molto cambiata. Sono veramente tanti i posti che hanno chiuso come Cable a London Bridge. Anche se non ne mancano di interessanti come l’Hootananny a Brixton, che ha pure il mercato fuori, l’ostello sopra, il biliardo e molte altre attrazioni”.

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