Lucio Corsi, all’Eurovision ci va il narratore di fiabe

Un pensierino l’avevano fatto tutti, mentre sentivano sul viso il vento in poppa che ha sollevato Lucio Corsi dalla sua culla di garbo e poco rumorosa dignità per portarlo in cima al mondo. E se fosse lui a cantar d’Italia all’Eurovision?

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Alla fine è successo, sarà lui, una impossibilità che diventa possibile, un assurdo teorico che diventa reale, e nel delirio di effettoni e declamazioni folk-nazionaliste che è l’Eurovision potrebbe addirittura essere un piccolo minuto prodigio, comunque una magia, perché ha da raccontare una fiaba, o meglio un dato di fatto incontrovertibile che sembrava non più possibile nel brutale e iper-socializzato mondo della musica: le favole esistono, eccome.

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Perché Lucio Corsi è una favola, e non fatevi ingannare dalla sua consistenza fisica, materiale, io stesso posso dire di avergli stretto la mano, ma è pura illusione perché Lucio Corsi non esiste nella realtà, ha la consistenza eterea delle favole, è un neo di Pierrot sospeso tra la mezza luna e Topo Gigio, è un “c’era una volta un duro che non voleva essere un duro”, è un apostrofo posto tra le parole “t’adoriamo” che improvvisamente tutta Italia vuole pronunciare.

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E quindi perché no, tra la vincente e poderosa certezza che avrebbe portato Olly e le muscolari fanfare di tutta Europa potrebbe farci fare una splendida figura uno che di vincere non gliene frega niente e vince proprio per questo, come si usava una volta, quando perdere era nobile, era giusto, era eroico, era molto più educato, e poi perché ci permette di sognare uno scenario fantastico. Vincerà, non vincerà? Arriverà secondo. arriverà ultimo? Inezie, quisquilie. Quello che conta è che comunque vada, per la prima volta nella storia noi all’Eurovision non mandiamo un cantante, ma una favola, e scusate se è poco.

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