Lundini: “Ironizzo, non sfotto. Non guardo la tv. Il diabete? C’è, ma non sono mica moribondo”
ROMA – L’ironia, prima di tutto. E uno sguardo laterale sul mondo, la capacità di entrare in contatto con gli intervistati, che lo rende unico: Valerio Lundini con Una pezza di Lundini, programma rimpianto dai fan, e Faccende complicate (su RaiPlay) è diventato uno dei comici più interessanti. «Ogni tanto ci sentiamo con Emanuela Fanelli, pensiamo a una terza stagione della Pezza, ma poi ce ne scordiamo».
Ormai Fanelli è una star, due David di Donatello, conduttrice alla Mostra di Venezia.
«Ha ragione. Mi vergognerei pure a fare Una pezza con lei, è un attimo che diventa un programma con un titolo maschiocentrico: Una pezza di Lundini con un’attrice che ha vinto due David di Donatello? Una pezza di Fanelli e Lundini sarebbe un declassamento, il problema esiste. Però potrei fare una cosa».
Cosa?
(Ride) «Potrei proporre La pezza 4 puntando sul fatto che ci sia Emanuela Fanelli, cominciando a dire: ho questo programma tra le mani e lei verrebbe ospite in tutte le puntate».
Doppia Mr. Piranha in “Troppo cattivi 2”, il nuovo film di animazione di Dreamworks (nelle sale con Universal dal 20 agosto), che sarà presentato in anteprima al Festival di Giffoni il 25 luglio. Com’è andata?
«Sono stato chiamato e l’ho fatto, in effetti mi ha divertito. Pensavo che il doppiaggio per me fosse precluso, non ho la erre giusta. Se non avessi la erre moscia potrei sempre fingere di averla, ma avendola non posso eliminarla. Ero bravo a fare gli scherzi telefonici, ma appena sentivano “pvonto” sospiravano: “E’ Valerio”. Poi ho pensato che uno dei miei doppiatori preferiti, Fabrizio Mazzotta, ha la erre moscia».
In “Troppo cattivi 2” è circondato da bravissimi colleghi, c’è anche Margherita Vicario.
«Si è portata a casa tre David di Donatello. Non ho amiche che non abbiano vinto i David, si sappia».
Che rapporto ha con la cattiveria?
«Nella vita non sono cattivo. La cosa carina è che i cattivi dei cartoni animati rubano i soldi alle banche senza fare male a nessuno, e sono temuti da tutti come se fossero sicari. In realtà sono classici cattivi come la Banda Bassotti. Il film racconta le gesta di questi animali, lo squalo, il lupo, nel mio caso il piranha, il serpente – ecco, i serpenti mi fanno veramente paura – che sono diventati buoni ma gli tocca rifare un colpo».
Le piacerebbe fare l’attore? Ha lavorato con Sergio Castellitto.
«In effetti sì. Quando reciti c’è una scrittura dietro, negli sketch sono io che mi confronto con la realtà: le persone sono vere, c’entrano l’educazione, la timidezza, la paura di essere inopportuni. Ore di interviste. Pensi: “Cavolo, avessi scritto uno sketch, molto meglio la finzione”».
Ha archiviato “Una pezza di Lundini”, ma ci sarà una nuova stagione di “Faccende complicate”?
«Volentieri. Secondo me si può rifare con un’altra metodologia, prende parecchio tempo per girarlo, molto più di quello che ci vuole per vederlo. Vabbè, vale anche per i film».
Lei è curioso del prossimo, anche se a volte sembra che prenda per i fondelli gli intervistati. Impressione giusta o sbagliata?
«Mi fa stare bene il fatto che non li perculo. Al massimo ironizzo sui modi di parlare, se mai uno facesse una raccolta di miei video, ironizzerebbe… Con Faccende complicate mi relaziono con persone che non lavorano nel mio ambiente, ne ho approfittato per conoscere tante cose: le recite col pastorello Gelindo a Alessandria, il mondo dei wrestler a Bergamo».
E’ l’eterno giovane, ma l’anno prossimo compirà 40 anni. Smetteranno di definirla così?
«E chi lo sa? Mi dice gente di 53 anni che non è finita. Si tende sempre a ripetere che le persone sono tutte giovani. A un certo punto muoiono e dicono: “Ah era vecchio”».
Rifarà teatro?
«Mi piacerebbe, sto scrivendo».
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Cosa vede in tv?
«In realtà non la guardo, non per snobismo. L’ho sempre guardata finché non ho smesso. Ma non per fare l’intellettuale, guardare la tv non è peggio che stare su Instagram e YouTube. Vedere la Gialappa’s è divertente, loro sono simpatici, vedi lo show e sai che lo stanno seguendo altre persone. Ha un senso. Non ci sono programmi troppi innovativi, dopo Una pezza di Lundini non c’è niente».
Lo dice con ironia lundinesca?
«Più con ironia fanelliana, Emanuela fa finta di dire di sé stessa che è una grande, ma in realtà lo pensa. “Sto programma è un capolavoro, lo dico per scherzo ma lo penso per davvero”. Questo è “fanelling”, fare i mitomani di sé stessi. Insomma autoincensarsi fingendo falsa modestia è fare fanelling, come quando uno dice che dopo Una pezza di Lundini non c’è niente da vedere».
Chi la fa ridere?
«Lillo e Greg, Checco Zalone. Pippo Sowlo (i rapper), Max Tortora, Renato Pozzetto, Antonio Rezza. E anche Christian De Sica, molti suoi film non mi piacciono, ma lui fa ridere sempre. E non dimentichiamo Carlo Verdone, con lui rido da quando ero bambino».
La musica con I Vazzanikki è il piano B o è tutto sullo stesso piano?
«Ho sempre suonato con la band, ormai ci conoscono. Me li sono portati in tv e facciamo date fuori Roma. Con la musica, a differenza del teatro, puoi fare cose che hai già fatto. Se Baglioni rifà Piccolo grande amore, è più rilassante dal punto di vista creativo. Noi non abbiamo canzoni famose, ogni brano è nuovo per chi lo sente. E’ uno spettacolo più punk rispetto alle cose che faccio. Il concerto che dovevamo fare a Roma a Testaccio, saltato per la pioggia, è stato rimandato al 3 settembre».
Il musical è ancora il suo sogno? Ha detto che servono tanti soldi.
«Ero serio, è vero. E servono anche talenti, idee, gente che sappia fare quella roba, molto difficile. Da grande appassionato di musical, vado a Londra e butto un po’ di soldi per vedere gli spettacoli. Mi commuovono la bravura e la dovizia, gli interpreti sanno che se lo show non va, verrà sostituito. I musical che fanno da noi sono un po’ brutti, attori che sanno recitare cantare ballare insieme sono pochi. I ballerini sembrano ballerini; a Londra, a New York, sono grassi, pelati, gay, fichi, alti due metri, e fanno tutti i ruoli».
Ha parlato del fatto che ha il diabete di tipo 1, le hanno scritto?
«Mi avevano chiesto una cosa tipo: “Come ti gestisci?”. Ho parlato di quando controllavo la glicemia. Ora ho l’app, ma prima avevo il pungidito, andavo al bagno e tornavo. Poi l’ho fatto davanti a tutti, uno non deve nascondersi se prende l’insulina e ho fatto una battuta. Titolo tragico il giorno dopo: “La vita è troppo breve”. Non parlavo da guru del benessere, né da protagonista di una tragedia. Mi è sembrato anche un po’ assurdo, tutti a ringraziarmi. Secondo me ci sono malattie molto più gravi e invalidanti, io alla fine devo farmi l’insulina, una cosa che è invisibile. Però ho spiegato anche un dettaglio, che in certi casi può servire il succo di frutta».
Spieghiamo?
«Il problema del diabete è il calo degli zuccheri. Quando dici: “Mi serve un succo di frutta” sembra che sei uno stronzo, invece devi far capire che hai il calo. E’ il momento in cui si scatenano tutti: “Ti portiamo un bicchiere d’acqua?”; poi arriva qualcun altro con la Coca Cola zero, che non serve. Serve il succo di frutta. Spiegare alle persone che ti servono i dolci quando hai il diabete non è facile».
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