Michele Placido, la serie sul giudice Livatino. “I santi non sono solo quelli che fanno i miracoli”

RICCIONE – Una serie dedicata al magistrato Rosario Livatino, ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990 ad Agrigento, beatificato da papa Francesco nel 2021. Michele Placido inizierà a girare Il giudice e i suoi assassini per la Rai a settembre: lo racconta all’Italian global series festival di Riccione, nell’incontro con Giulio Base. Una lunga chiacchierata, dal passato al futuro, il racconto di una carriera ricca; quest’anno si festeggiano i 40 anni de La piovra.

Alessandro di Robilant 35 anni fa aveva girato Il giudice ragazzino, un bellissimo film dedicato a Livatino. «L’idea della serie – racconta Placido – è nata un po’ casualmente. Ero in Sicilia quando Livatino fu beatificato, volevo fare delle riprese in chiesa, alla fine, grazie all’intercessione del vescovo di Agrigento, entrai. Ma senza macchina da presa. Era pieno di magistrati, accanto a me c’era uno dei più bravi, giovane. Al momento della comunione mi fa: “Lei non viene?”. “Certo”: confesso ho fatto un peccato, mi misi anch’io in fila per ricevere la comunione. Rimasi ad Agrigento tre giorni, andammo con Federica (Vincenti, la moglie produttrice, ndr) a guardare carte, documenti. Abbiamo scoperto tante cose. Ne accennai alla Rai, abbiamo cominciato a parlarne. Così è nato Il giudice e i suoi assassini, ci accorgemmo di aver scritto un crime». C’è stato un piccolo nodo per il titolo. «Quando sono andati a controllare, si sono accorti che c’era un film di Tavernier che si intitolava Il giudice e il suo assassino. Ma il nostro è rimasto».

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Placido osserva: «Livatino è il primo magistrato, ucciso dalla mafia, che la Chiesa farà santo, ma quanti santi andrebbero fatti: Falcone, Borsellino. Questo ragazzo aveva indagato da solo, rimase isolato, ebbe tutti contro: è un martire. I santi non sono solo quelli che fanno i miracoli». Rivela che, proprio per il progetto, papa Bergoglio chiese di incontrarlo. «Fu un incontro privato, senza foto e notizia. Mi disse: “Volevo conoscere chi avrebbe diretto la serie”. Per la prima volta veniva beatificato un magistrato ucciso dalla mafia».

Il cast è stato scelto, ma la produttrice spiega che il nome degli attori per ora non può essere comunicato. “Sono tutti bravi, conosciuti. I killer parleranno il siciliano stretto, ma sentiremo anche il lessico della borghesia”. A 79 anni Placido, una carriera da attore e regista, ripercorre la sua carriera da La piovra, in cui interpretava il ruolo del commissario Cattani, che gli regalò una popolarità incredibile. «L’ho “suicidato” – racconta – non ne potevo più. Mi chiamò Damiano Damiani per il ruolo, dietro c’erano grandi autori, Ennio De Concini, Sandro Petraglia e Stefano Rulli, Sergio Silva in Rai. Fu venduta in tutto il mondo, la Pravda fece la prima pagina quando Cattani fu ucciso, spiegando che in Russia non sarebbe morto. In realtà girammo tre finali, ma io volevo proprio uscire di scena, avevo deciso che morisse. Mi ero stancato. Con la prima stagione mi danno due lire, con la seconda, diretta da Florestano Vancini, prendo due soldini. Mi compro una casetta vicino ai Mercati generali. Continuo, l’appetito vien mangiando, viene mia madre a Roma. Alla quarta ho detto al mio agente Antonangeli: basta. Basta fare le facce disperate quando gli ammazzano la moglie , la figlia. Decisi di “suicidarlo”, muore crivellato di colpi”.

Base ripercorre tutti i personaggi reali interpretati da Placido, partendo da Enzo Tortora. «Marco Bellocchio avrà sicuramente una mano sorprendente nel raccontarlo. All’epoca furono i giudici ad accusarlo, e devo essere sincero, pure io a un certo punto ebbi qualche dubbio, leggendo giornali importanti». Ricorda il rapporto bellissimo con Riccardo Milani quando interpretò Giuseppe Soffiantini nella serie di Canale 5 dedicata al rapimento dell’imprenditore.

«Per la serie su Aldo Moro diretta da Gianluca Maria Tavarelli mi sono ispirato a mio padre, che era presidente dell’Azione cattolica ad Ascoli Satriano, democristiano e pugliese. Ho lavorato con il cuore». Base lo ha diretto 25 anni fa nella serie Rai su Padre Pio. «Non è facile fare un santo – dice Placido – lo dicevo a Rocco Papaleo, che interpretava un fraticello, la sera prima di girare la scena delle stimmate. “Non me la sento, sono in crisi”. “Siamo attori. Da quanto tempo non ti inginocchi?”. Allora mi sono ricordato di quando mio padre, eravamo sei figli, la sera ci diceva: “Avete detto la preghiera? Inginocchiatevi”. Sono molto emotivo, mi sono inginocchiato nella camera dell’albergo. E ho pianto». Base sottolinea che c’era stata la serie di Canale 5 con Sergio Castellitto che aveva avuto enorme successo. «Sembrava una follia, facemmo ascolti record».

Il produttore Riccardo Tozzi gli propose di girare Romanzo criminale («Venivo da un insuccesso, a Venezia avevano fischiato il mio film, Ovunque sei, con Stefano Accorsi e mia figlia Violante»). «Mi manda il libro di Giancarlo De Cataldo, che non leggo, mi faccio mandare la sceneggiatura da Rulli e Petraglia. Scelgo il cast, attori fantastici, da Kim Rossi Stuart a Claudio Santamaria. Ma tutti erano bravissimi. Andammo in ritiro sul lago di Bracciano, volevo conoscerli umanamente. Poi chiesi a ognuno di fare la carta d’identità del personaggio che interpretavano. Poi nasce l’idea della serie, che non potevo girare. Stefano Sollima è stato bravissimo».

Racconta che i figli guardano le serie americane, che per catturare la loro attenzione «bisogna girare film e serie popolari». Ma c’è più stata una fiction che, come La piovra, ha incollato mezza Italia davanti alla tv? Placido ci pensa un attimo e non ha dubbi: «Il commissario Montalbano»”.

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