“Moon – Il panda”, una straordinaria amicizia. Il regista: “I miei film sono affari di famiglia”

Parigi – La famiglia Tarzan è quella di Gilles de Maistre, autore francese che da anni gira il mondo con la moglie co-sceneggiatrice e i loro figli, consegnando film che esplorano il rapporto tra cuccioli d’animale e umani, senza effetti speciali ma con momenti pieni di poesia e commozione. Mia e il leone bianco, Il lupo e il leone, Emma e il giaguaro nero, tutti con grande successo di pubblico e incassi. L’ultima tappa cinematografica la Cina, il film Moon – Il panda, in sala il 17 aprile con 01 Distribution. Ne abbiamo parlato con Gilles de Maistre a Parigi, in occasione dei Rendez-Vous di Unifrance. Stavolta il protagonista è uno studente nerd di una metropoli cinese che vive attaccato alla Playstation, emarginato dai compagni e redarguito dal padre. La nonna interviene portandolo con sé in campagna, dove un incontro straordinario cambierà la sua vita per sempre.

Quando ha iniziato a mettere insieme lavoro e vita in questa formula così speciale?

“Bisogna semplicemente costruire la propria favola. E la mia vita è una favola. Sono molto felice. Scrivo, lavoro insieme a mia moglie che scrive le sceneggiature. Gestiamo insieme le idee dei film. Abbiamo sei figli e vogliamo raccontare loro delle storie. E ovviamente vogliamo portarli con noi. Siamo una famiglia itinerante in giro per il mondo”.

Quando ha cominciato?

“Quando abbiamo cominciato ad avere figli. Ho pensato: non posso avere dei bambini e poi dire “ciao” e partire per fare film. Così ho detto a mia moglie: dobbiamo andare insieme. Abbiamo iniziato con un neonato. In quel periodo stavo girando un documentario interessante, che riguardava bambini che interagivano con predatori in tutto il mondo. Siamo stati con i leoni in Sudafrica, gli elefanti in India e così via”.

In quanti paesi siete stati con i vostri figli? E come vi organizzate con i loro studi, la scuola?

“I paesi credo siano trenta, non so con precisione. È diventato uno stile di vita, viaggiare con i bambini. Siamo appena tornati dal deserto del Sahara, dove abbiamo girato un nuovo film con loro. Quando è possibile, iscriviamo i bambini a scuola nei posti dove ci troviamo. Sono andati a scuola in Sudafrica per tre anni. Poi in Canada, dove si parla francese, eravamo in Québec, quindi era perfetto. Quando abbiamo girato Il lupo e il giaguaro in Messico, ho trovato una scuola a Playa del Carmen. Ogni volta troviamo una soluzione. In Marocco, nel deserto, invece non li abbiamo mandati a scuola perché lì si parlava solo arabo, quindi era complicato. In quel caso abbiamo fatto scuola a casa”.

I suoi figli si stanno avvicinando al cinema?

“In realtà non sono molto interessati al cinema. Nemmeno la più piccola, che ha otto anni: per lei andare sul set è noiosissimo. Però mia figlia, che ha quindici anni, ama recitare. Mi aveva chiesto di lavorare in un mio film quando aveva otto o nove anni. Ho detto a mia moglie: non so se posso farlo. Se non è brava, o se crea problemi alla troupe, non voglio essere stressato. Ma ha insistito, alla fine ho accettato. Era solo una scena, ne Il lupo e il leone, ed è stata perfetta”.

L’ambiente e la cultura dei posti in cui gira influenzano anche il suo punto di vista artistico?

“Sicuramente. Io viaggio da quarant’anni. Prima facevo documentari, quindi ho sempre viaggiato molto. Per me il mondo è uno solo. Ecco perché faccio film in inglese: voglio che viaggino, che vadano in Italia, in Francia, in Cina, ovunque”.

Parliamo del nuovo film Moon – Il panda. L’anno scorso aveva detto che sarebbe stato un progetto speciale.

“È stato l’unico film in cui non abbiamo portato i bambini, perché la Cina era chiusa ai turisti. È stata un’esperienza molto intensa. Abbiamo lavorato con una troupe cinese, molto professionale. Era affascinante vedere un modo diverso di fare cinema. Il luogo dove abbiamo girato era spettacolare, montagne incredibili. Il bambino protagonista è metà francese e metà cinese: nel film è esattamente com’è nella vita”.

Girare con un panda dev’essere stato un evento unico.

“È quasi impossibile ottenere l’autorizzazione per girare con i panda. Non si facevano film con i panda da vent’anni. È un animale simbolo nazionale per la Cina, un tesoro. Abbiamo avuto un’autorizzazione eccezionale. È qualcosa che probabilmente non succederà più”.

Il Panda ha un ruolo importante nel viaggio di crescita del protagonista.

“È come una guida, perché il ragazzo è chiuso in sé stesso. Non ha amici, litiga col padre, si rifugia nei videogiochi. È una situazione comune, oggi. Poi incontra questo panda: è amore a prima vista. Grazie a lui, e anche alla nonna, scopre un mondo nuovo. Il messaggio è che la natura è bella, e si può essere felici anche fuori dai modelli imposti. È un film da condividere con tutta la famiglia”.

Nonostante l’approccio così personale, i suoi film ottengono grandi risultati al botteghino. Come lo spiega?

“Penso che il pubblico percepisca l’autenticità. Non c’è nulla di finto nei rapporti tra umani e animali nei miei film. Questa sincerità emoziona, fa sognare, piangere, ridere. E poi porto gli spettatori a viaggiare: dalla periferia di una città alle montagne cinesi, al deserto del Sahara, alla giungla dell’Amazzonia. I genitori vogliono condividere momenti così con i figli. È il mio lavoro: creare momenti da vivere insieme”.

La reazione del pubblico che l’ha colpita di più?

“Ogni volta che vado in sala ci sono tanti bambini, genitori, anche persone anziane amanti della natura. Ma quelli che mi colpiscono di più sono i bambini piccolissimi, di tre o quattro anni, che magari vivono il cinema per la prima volta. È un’esperienza forte per loro. Credo che resti impressa per tutta la vita”.

Che cosa ha imparato dai panda? Perché sono così amati?

“Assomigliano un po’ agli esseri umani. Sono morbidi, teneri, ti fanno venire voglia di abbracciarli. Trasmettono un’energia di felicità. È per questo che sono gli animali più amati al mondo. Sono rarissimi, hanno rischiato l’estinzione. Guardare un panda è come partire per un piccolo viaggio”.

Quale animale l’ha sorpresa di più nei suoi film?

“Il primo, il leone. Girare con un cucciolo di leone e una bambina è stata un’esperienza enorme. È stato il mio primo film con una sfida così grande”.

È mai stato in pericolo su uno di questi set?

“Ho avuto qualche momento difficile con un leone, sì. Ma ora preferisco interagire con cautela, giorno per giorno, senza forzare”.

L’animale che sente più vicino a sé?

“Ho un cane e un gatto a casa. Il cane viaggia con noi, è piccolissimo, un incrocio tipo chihuahua. Ama la neve del Canada, la sabbia del deserto… è sempre felice. Il gatto, invece, no: non ama viaggiare”.

La prossima avventura?

“Un film che uscirà l’anno prossimo, una storia vera, accaduta nel XX secolo: un bambino di due anni si perde nel deserto, durante una tempesta di sabbia, e sopravvive per dieci anni grazie agli animali, in particolare agli struzzi. Poi ha avuto una vita normale, con cinque figli. Ho conosciuto il suo ultimo figlio”.

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