“Mr. Mercedes”: la serie fantasma dai romanzi di Stephen King risorge dopo anni di oblio
Alle soglie del luogo comune, ma non distante dalla realtà, è in vigore l’espressione: le serie tv tratte da Stephen King viaggiano tra notevoli alti e bassi. Uno strano caso è quello di Mr. Mercedes, che forse comprende entrambe le possibilità. È appena arrivata su Netflix, era già presente senza clamori su Prime Video e, a ritroso, se ne riscontrano tracce che risalgono alla prima stagione, che è del 2015. Una serie più o meno fantasma – e a King, anche produttore, magari non dispiace del tutto.Tre stagioni, perché in origine c’è l’omonima trilogia di romanzi. La prima ci regala una trasposizione di assoluto livello: le altre due si perdono un po’ e sta alla curiosità di ognuno proseguire o meno. Ma intanto c’è l’avvio. Carolina del Sud, un gruppo di disoccupati si accampa di notte ad attendere l’apertura dell’ufficio di collocamento.
Una Mercedes irrompe e fa una strage. Il caso è affidato al detective Bill Hodges, prossimo alla pensione: non risolve nulla e lo ritroviamo appunto inoperoso, pochi anni dopo, con quel tarlo dell’indagine fallita che lo rode da dentro e lo fa rifugiare nell’alcol e in una trasandatezza da paura. Finché il colpevole decide di divertirsi con lui, provocandolo e innescando una reazione che ha passaggi di desolante ma accanita riscossa.Il killer lo conosciamo da subito, è un ragazzo oltre il problematico e con fardelli di vita balorda – più la convivenza con una madre morbosa e fervente alcolista anch’essa. Diventa anche uno scontro generazionale, ma la relativa originalità della trama viene compensata da una resa molto forte. E soprattutto da lui, Brendan Gleeson, irlandese di ceppo pre-Ozempic, incerto da subito sulle scelte, se suicidarsi o andare a catturare il mostro. Al suo fianco c’è una meravigliosa Mary-Louise Parker, ci sono passaggi lancinanti in puro stile SK e una serie di svolte thriller che cadenzano il racconto in modalità classica: ma è quella creata dai maestri come lo scrittore che nei decenni ha incartato il mondo in una tela di brividi d’alta scuola.
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“Bandecchi, va bene tutto, ma la parola frocio non si può dire in tv” (i richiami di Massimo Giletti, Lo stato delle cose, Rai 3).
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