“Noi del rione Sanità” la rivoluzione di don Antonio: “Sul passato ho potuto costruire il futuro”
Ci sono storie che ci consolano, perché la speranza di cambiare le cose diventa realtà concreta: don Antonio Loffredo, parroco illuminato che ha realizzato il “miracolo del rione Sanità”, fondando nel 2006 una cooperativa sociale, è un simbolo a Napoli. Con sei giovani volontari nati e cresciuti alla Sanità, è riuscito a riqualificare spazi abbandonati e dare un’opportunità di lavoro nel campo dell’arte, dello sport e della cultura, come alternativa alla criminalità organizzata e allo spaccio di droga. Alla sua figura e al suo libro autobiografico Noi del rione Sanità (Edizioni San Gennaro), si ispira la serie omonima diretta da Luca Miniero, dal 23 ottobre su Rai 1.
Don Giuseppe Santoro (interpretato da Carmine Recano), è un prete visionario che dà un futuro ai ragazzi del quartiere, e cambia il loro destino. Maria Carolina Terzi, che con Mad Entertainment produce la serie insieme a RaiFiction e RaiCom, non ha dubbi: “Don Antonio ha portato una rivoluzione felice, si può sapere che nella vita si può cambiare: lui ha sfondato i muri e noi volevamo poterlo raccontare, e raccontare una Napoli che funziona”. “Il rione Sanità è un quartiere che da giovane conoscevo come una zona pericolosa” spiega Luca Miniero, “ci sono tornato da regista e raccontare le storie che lo riguardano è stato interessante, perché molti degli attori sono usciti dal proprio quartiere”.
“Sono amico della persona che ha curato la scuola di teatro” racconta Recano “sono di Napoli e conosco molto bene quella realtà, è stato bellissimo raccontarla. E ho sentito anche la responsabilità”. Don Antonio spiega che la lettura della sceneggiatura gli “ha fatto cadere i pregiudizi sulle fiction. Ho scritto questa storia nel libro, vedo questa forma di racconto della fiction, e i racconti muovono e commuovono. Io ho fatto il mediano e poi passavo la palla. Anche tu sei un mediano” dice rivolto a Recano. “Lei è stato costruttore di una comunità” dice l’attore. “Ma il gol” insiste il sacerdote che è riuscito a motivare chi non aveva speranza “lo hanno fatto i ragazzi”.

In Noi del rione Sanità Don Giuseppe è pragmatico, a un certo punto dice: “Non c’è bisogno del confessionale, al limite quasi del prete”. “Il suo modo di fare chiesa è un modo molto pragmatico e attento al sociale”, spiega Angelo Petrella, che firma la sceneggiatura con Salvatore Basile e Benedetta Gargano “lui si rende conto prima delle falle da tappare, e poi il modo in cui tappano, ha a che vedere con la spiritualità e anche con un approccio filologico cristiano: aiutare gli ultimi è esso stesso un modo di mettere in atto il messaggio cristiano. In questa sua religiosità ‘civile’ credevamo si potesse riassumere bene il suo operato e il suo carattere. Il suo praticantato di vita laica gli è servita per la vita da sacerdote”. “È una battuta che ho notato pure io”, chiarisce don Antonio “sono il primo a dire che non esiste solo la confessione. Io so che Dio ci perdona a prescindere, se andiamo o non andiamo dal prete. Mostrare una chiesa che è stata compagna dell’uomo, mi sembra interessante”. Non ha chiesto cambiamenti nella sceneggiatura: “Amo molto la libertà” spiega “ho solo rivolto una preghiera ai produttori: che il prete potesse chiamarsi come il prete che era alla Sanità prima di me, don Giuseppe, perché è grazie a lui che ho potuto fare quello che ho fatto. Sul passato ho potuto costruire il futuro. Io sono sulle spalle di un gigante”.
Grande cast, facce vere, attori bravissimi: Nicole Grimaudo interpreta un amore di gioventù del parroco, Bianca Nappi ha il ruolo di suor Celeste, prima alleata di Don Giuseppe. Accanto a loro, Vincenzo Nemolato, Tony Laudadio, Chiara Celotto, Ludovica Nasti, Caterina Ferioli, Giampiero De Concilio, Giovanni Ludeno, Federico Cautiero, Federico Milanesi, Maurizio Aiello e Rocco Guarino.
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