Punta Sacra, un dialogo a cuore aperto che va oltre il cinema. Guarda il film in streaming su MYmovies

Può essere definito come un ‘documentario di poesia’. Oppure un racconto, come è stato sottolineato nei titoli di coda. Punta sacra è stato realizzato nel 2020 e ha vinto il premio principale, il Sesterce d’Or La Mobilière, come miglior film a Visions du Réel, quello per la regia al Festival del cinema italiano di Annecy oltre ad aver ricevuto, tra gli altri, il Premio Speciale della Giuria nella sezione Alice nella Città alla Festa del Cinema di Roma e il Premio Valentina Pedicini ai Nastri d’argento 2021 nella sezione documentari.

È prima di tutto un’immersione in un luogo. L’ambientazione è Ostia, nella comunità dell’Idroscalo, presente sul luogo da circa 60 anni, che si trova nella striscia di terra dove il Tevere incontra il mare.

Nel 2010 durante la giunta Alemanno, dopo un’ordinanza, sono state abbattute 35 case senza preavviso e sul posto sono rimaste 500 famiglie.

La regista ha girato Punta sacra in circa tre mesi ed è entrata in sintonia con i suoi abitanti e soprattutto con Franca Vannini, che è una sorta di portavoce, che vive lì da oltre trent’anni assieme alla figlia e le nipoti. Attraverso la voce della donna emergono frammenti di storia personale e del luogo, ma anche lo stato di costante precarietà in cui si trova chi ci vive.

Al tempo stesso emerge anche il profondo legame tra gli abitanti come si vede, per esempio, dall’organizzazione delle festività come il Natale (con l’esibizione della versione italiana di Hallelujah di Leonard Cohen) e del Carnevale.

Come accade nel cinema di Gianfranco Rosi, l’approccio documentaristico risiede soprattutto nell’osservazione degli spazi. Non è però uno sguardo oggettivo; mette infatti prima di tutto in risalto il carattere selvaggio, violento, romantico, fisico del luogo come il mare in tempesta, i detriti sulla spiaggia, i tramonti, gli allagamenti, gli oggetti ammucchiati in un’abitazione distrutta.

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Al tempo stesso ritornano, con una musicalità persistente, anche i suoni ricorrenti: il vento, il rumore del mare, il sottofondo di canzoni, ma soprattutto la voce individuale e collettiva degli abitanti.

Francesca Mazzoleni non segue la strada più classica, cioè l’intervista ad alcune delle persone più rappresentative che vivono sul posto. Entra con discrezione ma anche con complicità all’interno delle loro famiglie e cattura momenti veri di vita vissuta come la discussione su Pasolini (che, come vien specificato, non è stato ucciso all’Idroscalo ma nell’area dove oggi si trova la LIPU) con chi lo difende (“è stato un maestro di vita e le cose che ha scritto si stanno avverando”) e chi lo attacca a causa della sua vita privata, ma anche la disillusione nei confronti della sinistra (“il PD di una volta non c’è più”).

Inoltre è esplosivo lo scontro tra la figlia che desidera fare la parrucchiera e la madre che vorrebbe che continuasse a studiare dove non sembra esserci neanche il minimo sospetto di recitazione o preparazione, ma appare quasi un frammento rubato.

Tra questi ce ne sono diversi in Punta sacra: quello del rapper che rende omaggio a Victor Jara, il musicista e poeta cileno che è stato ucciso il 16 settembre 1973, cinque giorni dopo il golpe di Augusto Pinochet; del sacerdote davanti agli articoli di giornale sulla demolizione del 2010; la vita di tutti i giorni dei ragazzi, figli di quel luogo che si poggia anche di loro per sopravvivere.

Suddiviso in sette capitoli (Mare, Terra, Madre, Padre, Figli, Fede, Festa), conserva l’anima di Punta sacra. Va oltre il documentario. È un’esperienza, una condivisione, una confessione in prima persona dove le tracce di narrazione si sgretolano progressivamente in un dialogo a cuore aperto.

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