Sidney Sweeney, la nuova icona sexy alle prese con la natura selvaggia in “Eden”
Le etichette di bombshell e fidanzata d’America appartengono ad altre generazioni, ma si avvicinano allo status di Sydney Sweeney, 28enne attrice hollywoodiana in massima ascesa: minuta, formosa, spiritosa, professionalmente maniacale, seguita da 25 milioni di follower su Instagram. Si è fatta notare in tutte le serie di tendenza: sposa tragica di The Handmaid’s Tale, adolescente fragile in Euphoria, figlia viziata in White Lotus. E poi opere d’autore, dal tarantiniano C’era una volta a… Hollywood a Reality. È inciampata nel supereroico Madame Web, ma da produttrice e protagonista ha ri-sdoganato la commedia romantica con una strategia di promozione che ha fatto scuola: il film Tutti tranne te, il flirt social con il collega Glenn Powell. Ora è in sala con Eden di Ron Howard.
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Tratto da una storia vera, racconta di otto persone – un filosofo e la compagna, una sedicente baronessa e i suoi amanti servitori, un vedovo con la giovane moglie – che decidono di trasferirsi sull’isola di Floreana, nelle selvagge Galapagos. I nuclei entreranno in conflitto, la metà di loro non sopravviverà. “Lavorare con Ron Howard è stato un sogno, affiancare colleghi come Jude Law, Vanessa Kirby, Ana De Armas, Daniel Brühl… la più grande lezione di recitazione di sempre. Ho avuto scene con personaggi diversi, ho studiato il modo in cui ognuno lavorava. Non scorderò la scena del pranzo, girata in una settimana intera, tutti insieme. Una cosa folle”.
Il film è stato girato in Australia, in condizioni fisiche estremamente dure. “Amo l’Australia, ma è stato davvero difficile. C’erano giornate di un caldo insopportabile, altre con temporali, fulmini, situazioni assurde. Dovevamo fermare le riprese, rifugiarci nei trailer e aspettare che tutto si calmasse. A volte sembrava davvero di essere su Floreana, perché gli elementi naturali erano così intensi da farci sentire dentro l’isola stessa. Ogni cosa sembrava estremamente viscerale”.
Da quando ha iniziato a dodici anni, scrive i “quaderni dei personaggi”, con pieni di dettagli, per non dover pescare dal proprio vissuto e salvaguardare sé stessa: “Stavolta era una storia vera e avevo molto materiale. Margaret ha scritto un libro sulla sua esperienza, e ho letto anche la versione dell’altra donna, Dora. E poi tanti articoli, il documentario. Un ruolo per me inedito, la cosa più vicina che ho trovato a The Handmaid’s Tale. Volevo mettermi alla prova nell’aspetto dell’essere madre, nel tormento interiore, nelle paure che si hanno dentro e cosa significhi la pressione di tutto ciò. Questo film è scritto pensando a una qualità molto importante dell’animo umano: la sua parte oscura, la parte che cerca di sopravvivere, ma anche quella capace di compassione verso l’altro”.
Ha abbracciato la forza, la fragilità e anche l’ambiguità di Margaret. “Interpretarla per me ha significato abbracciare l’empowerment. All’inizio sembra che lei sia quella destinata a morire per prima, che non potrebbe mai sopravvivere su quell’isola. E invece attraversa eventi incredibili che non la spezzano, ma la rafforzano. E diventa, in un certo senso, la madre di Floreana”.
Cresciuta in un paesino al confine tra Washington e l’Idaho, più romanzi gialli di Nancy Drew che la tv, genitori non ricchi ma che l’hanno sostenuta fino a rischiare il tracollo economico, Sydney Sweeney ha iniziato a recitare prestissimo. “Ho sempre voluto fare l’attrice. Avevo amici immaginari, mondi immaginari, adoravo fare finta, essere tanti personaggi diversi. Non potevo immaginarmi di fare una sola cosa nella vita. Crescendo ho capito che con la recitazione avrei potuto vivere tutte quelle esperienze. Quindi mi ci sono buttata. La scelta dei ruoli è facile: sono attratta da cose nuove, personaggi profondi”. Le antipatiche le interessano di più, perché è più stimolante cercare di capirle. Ma il suo criterio principale è: “Se mi fa paura. Se mi sfida in modi nuovi, allora so che devo farlo. Perché è lì che succede la crescita, e spesso anche le cose più belle.” L’esperienza più importante per lei: “È stata quella in The Handmaid’s Tale. Ho osservato e imparato tantissimo su quel set. Il cast mi ha impressionata, mi sono innamorata della fotografia, della troupe, di tutto. La scrittura, i personaggi, la profondità… tutto era meraviglioso. È stato un momento di svolta per me, anche a livello personale: mi ha fatto capire cosa voglio fare davvero nella vita e su quali set voglio lavorare”.
Pensa a un futuro da regista. “Sì. È sempre una questione di sfida. Devo continuare a sperimentare cose nuove”. Ha imparato osservando John Carpenter, David Robert Mitchell, Tarantino, Ron Howard. “Ron è uno dei più grandi. Con lui ho costruito un bellissimo rapporto che tengo davvero caro, e spero tanto di poter lavorare di nuovo con lui.” Il film più “spaventoso” finora è stato Reality, in cui interpretava l’ex specialista dell’intelligence usa arrestata per la fuga di notizie sulle interferenze russe nelle elezioni del 2016, “perché era tratto da una vera trascrizione di un interrogatorio. Ogni singola parola che dicevamo veniva da quel documento reale, e non avevamo margine di improvvisazione. E poi è stato girato in soli sedici giorni, il che è quasi impossibile. È stata un’esperienza diversa, sfidante, ma l’ho adorata. La rifarei subito”.
Dall’impegno al mainstream: in Italia e nel mondo la commedia leggerissima, Tutti tranne te. è stato un successo enorme anche grazie a un marketing sapiente attraverso i social, il flirt con il collega Glenn Powell a uso e consumo degli spettatori, che hanno iniziato a mettere su TikTok i video dalle sale cinematografiche. “Quel film l’ho prodotto, ci ho creduto, l’ho amato. Speravo davvero che il pubblico lo sentisse come lo abbiamo sentito noi, tutto il cast e la troupe. Quindi sono felicissima e mi sento davvero appagata dal fatto che ha ricevuto così tanto amore e raggiunto così tante persone”.
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