‘Sul più bello’ diventa serie. Ludovica Francesconi: “Marta è cresciuta con me”

Sul più bello, è arrivata la serie su Prime video. Il piccolo film adolescenziale è diventato una trilogia cinematografica e ora un racconto in sei episodi (la regia è di Francesca Marino), che al centro ha ancora Marta, Ludovica Francesconi, la nostra protagonista, che affronta i problemi della fibrosi cistica e le sue complicanze, la ritroviamo a cinque anni dall’ultimo film.

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Senza Gabriele, che vuole farsi una vita all’estero, ma con i suoi amici-famiglia Jacopo e Federica, entrambi impegnati in una relazione stabile. Un racconto più profondo, realistico, meno favolistico e più adulto. Abbiamo incontrato Ludovica Francesconi al Festival di Giffoni, dove la serie è stata presentata.

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Che significa essere qui a Giffoni?

“È meraviglioso, è casa. E non lo dico in maniera scontata, superficiale. Qui è la prima volta in cui mi sono vista sullo schermo, per la mia prima esperienza. Tornare ogni volta mi rievoca quel ricordo e quella sensazione. E non c’è cosa più forte, più bella. Per cui per me Giffoni è veramente casa, è stato il mio primo spazio e continuerà ad esserlo”.

Sul più bello. Dopo la trilogia di film, la serie.

“Per me è un passaggio, inteso come momento di crescita, diventare adulti. Ho la fortuna di avere una testimonianza di questa cosa: quando mi rivedo nel primo film mi accorgo che ero una bimba. Da allora sono cresciuta come persona, come attrice, anche grazie alla possibilità che mi ha dato la serie di ampliare il personaggio e di farlo crescere insieme a me. E ed è stranissimo e meraviglioso che sia ancora qui con questo personaggio che mi ha aiutato a crescere”.

Torniamo alla Marta del primo film.

“Allora avevo pochissime informazioni: qualche scena da preparare per il provino, Marta era descritta come una ragazza che era fuori da qualsiasi canone estetico, fuori dagli schemi. Anche nella sincerità con cui si approcciava alle persone rompeva tutti quegli schemi sociali che di solito abbiamo. Ho capito subito che era una “figa” cosmica. Ci vuole coraggio, determinazione, carisma per poter essere così sinceri e non avere paura di dire banalmente a uno sconosciuto: sei un bel ragazzo, usciamo insieme. E’ stato subito un personaggio affascinante”.

Come spiega il grande successo dei film?

“Credo che parli in maniera molto diretta ai ragazzi, trattando temi importanti con leggerezza e non superficialità. A me è servito molto perché in maniera semplice si pone delle domande giuste e tratta degli argomenti che in realtà, soprattutto per l’età adolescenziale, possono essere molto pesanti. Al di là del tema della malattia, ci sono quelli dei rapporti sociali, del canone estetico, una serie di cose che possono portarti non solo ad essere giudicato, ma a giudicarti tu stesso. Quindi aver rappresentato un personaggio che esce da questi schermi e resta comunque affascinante secondo me è fondamentale”.

Com’è stato affrontare la preparazione, anche riguardo agli aspetti medici?

“Io in primis sapevo cosa fosse la fibrosi cistica, ma non lo sapevo in maniera così dettagliata. Ho imparato tantissimo, e, uscito il film, ho ricevuto tanti messaggi social con i commenti di ragazzi che erano stati incoraggiati dal film a superare alcune situazioni. Ma la cosa che mi ha sorpreso di più, specie dopo il primo film, è che mi hanno scritto genitori che vedendo il film insieme ai loro figli, hanno trovato un punto di contatto per parlare di alcuni disagi, che altrimenti i figli non avevano il coraggio di raccontare. Non c’è cosa secondo me più bella che fare un film per ragazzi che però possa aprirsi ad un pubblico più grande”.

Ha incontrato ragazzi che avevano la fibrosi?

“Ho fatto incontri con una ragazza che aveva questi disturbi, e poi anche altri ragazzi con la fibrosi. Mi sono resa conto che erano esattamente come il personaggio di Marta, determinati, coraggiosi, che fanno tantissimi sport. Persone che per me sono state un esempio, mi hanno fatto rivalutare tante cose: come affrontare le cose con coraggio e determinazione”.

Quanta determinazione c’è voluta a lei per fare l’attrice?

“C’è voluta tantissima forza. Ho preso il primo agente che ero ancora minorenne. All’asilo c’era chi voleva diventare astronauta, io l’attrice. Non sapevo minimamente che cosa significasse, ma guardavo i film: “Voglio fare quella roba lì”. Sono sempre stata fantasiosa, era il percorso adatto per me. Ma con l’adolescenza ho affrontato i primi no ed è stato molto difficile perché nell’ambiente, oltre alla bravura, il personaggio ha anche una sua estetica: non si tratta di essere belli e brutti ma adatti alla rappresentazione di quel personaggio. Ma da teenager è difficile perché già ci si mette in discussione da soli, figurati se continui a ricevere tanti no. Con il tempo ho capito che non dipendevano da me. Era semplicemente un progetto per cui io non ero adatta per un motivo o un altro. E però Sul più bello doveva essere il mio ultimo provino perché per me era era stata veramente tosta. Ho detto: forse non sono portata, arrivi in zona università, sembra che la tua carriera debba già essere preimpostata e funzionante. Non ti danno il tempo di avere un po più di tempo, è come se ci fosse un’età precisa in cui tutti devono iniziare. E invece qualcuno ha bisogno di più tempo. Ho pensato faccio l’ultimo provino, tanto non andrà. E invece sono stata presa”.

Un provino buffo?

“Sono una persona molto imbranata, immagino cose e ne faccio altre. Al provino di Sul più bello immaginavo il personaggio estremamente colorato. Mi presentai con una valigia di vestiti per fare i cambi delle scene. Apro la valigia e scopro che avevo preso tutti vestiti di colore grigio e nero, inizio a blaterare qualcosa, giustificandomi: i colori li possiamo immaginare”.

Jasmine Trinca e Francesca Archibugi per la serie ‘La storia’ tratta dal romanzo di Elsa Morante

In questi anni la sua carriera anche cresciuta, penso per esempio a La storia di Francesca Archibugi, un’esperienza importante.

“Ho fatto un provino e quando ho letto il copione mi sono detta: questo personaggio è veramente tanto divertente. A volte mi capita a un provino di avere una sensazione interna che ti rende tutto semplice e capisci che potrai farcela. Quando poi sono arrivata sul set ero una bambina al parco giochi e non smettevo di sorridere, anche se erano situazioni drammatiche, ma per me vedere tutto quell’ambiente, grandi attori all’opera, era un spettacolo. Stavo lì con i popcorn, praticamente. E ora preparo due progetti insieme. Un film drammatico ambientato in Marocco, di Toni Trupia, La primavera, e una commedia basata su una pièce francese. Cast molto grande, sono contenta”.

Di cosa racconterà la serie Sul più bello?

“La parola chiave della serie è cambiamento: si lascia l’età adolescenziale e si affronta la prima età adulta. Marta si ritroverà la malattia da un altro punto di vista, dovrà diventare una persona matura, accettare delle parti di sé che ha sempre bypassato, anche attraverso l’ironia. Ci sarà anche una grande parte sulla salute mentale e poi interagirà anche con altri ragazzi, che porteranno esperienze di altre malattie. La cosa fondamentale di questa serie è l’avere il confronto, approcci diversi anche delle stesse situazioni”.

La sua generazione, anche penalizzata dal Covid, è attrezzata per affrontare I problemi?

“Sì, è una generazione molto agguerrita, che tiene alle tematiche sociali, al senso di comunità che si era perso. Vedere dei ragazzi così giovani, attenti alla comunità e capaci di farsi forza insieme, è un regalo meraviglioso. Si pensa che magari tramite i social le persone tendano a isolarsi molto di più, in risposta sono tanti quelli che hanno voglia di fare gruppo, affrontare le situazioni che viviamo ogni giorno. E’ una generazione che promette bene”,

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