The Art of Joy by Goliarda Sapienza, storia di un’autrice incendiaria e della sua eroina anarchica e scandalosa. In esclusiva streaming su MYmovies

Desiderio, ribellione, anticonformismo, disobbedienza. Tutto questo racconta il documentario The Art of Joy, dedicato alla figura dell’autrice di “L’arte della gioia” Goliarda Sapienza.

Il film si apre con una sua foto in bianco e nero, è distesa sull’amaca, sorride. Lo firma Coralie Martin, una donna che restituisce l’immagine di una donna a sua volta dedicata a raccontare un’altra donna, in un gioco di specchi multipli e di libertà condivise che sa di sorellanza, empatia ed emancipazione collettiva.

Più che didascalico il documentario mira da subito a evocare, a suggerire, a restituire non tanto una biografia completa, ma un’idea dell’anima dell’autrice e della sua incandescente scrittura. Scrittura scandalosa, diversi intervistati nel documentario ci riflettono con più o meno ironia, sul motivo per cui il suo romanzo fu ritenuto oltraggioso.

Si vede il manoscritto del 1976, la calligrafia dell’autrice, che scelse di comporre un romanzo di 800 pagine sulla saga di Modesta, antieroina incendiaria e assetata di libertà, determinata a insegue i suoi desideri infrangendo ogni legge, specie morale. Tant’è che il romanzo venne giudicato impubblicabile in Italia, il documentario mostra le lettere con le risposte negative degli editori più importanti. Per vent’anni l’opera fu rifiutata da tutti gli editori italiani e la sua autrice non vedrà mai in vita il proprio romanzo pubblicato.

Poi nel 2005 l’opera viene tradotta in Francia dove diventa un caso letterario, Modesta viene letta come una figura innovativa di emancipazione. Rigorosamente femminile e femminista, anche se Sapienza non voleva essere considerata una militante: «Scriverò sempre di donne non per veterofemminismo ma perché conosco meglio la donna e voglio esplorare il mio sesso e il mio pianeta», recita la voce di Sapienza stessa da un registratore.

Il film accosta alla sua voce la testimonianza di chi la conosceva bene, come suo marito Angelo Maria Pellegrino, e chi l’ha stimata tanto da interpretarla e realizzare una serie tv su “L’arte della gioia” come Valeria Golino. Tutti d’accordo nel raccontarla come una donna ribelle ma calda, attenta all’altro, con una voce straordinaria e una cultura non comune.

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Interessante la scelta di regia di far parlare la stessa Sapienza, in una videointervista degli anni Novanta in cui parte dalle sue origini in un «quartiere malfamato di Catania», mostrato da immagini di archivio, per raccontare la sua infanzia in una famiglia numerosa, di formazione anarchico-sindacalista-rivoluzionaria.

«Cinque generazioni di atei» e un padre che non la mandava alla scuola del regime fascista, tant’è che insieme dettero fuoco anche alla divisa. A casa riceveva un’educazione alternativa dai fratelli anche molto rigida, racconta di aver dovuto fare a 36 anni una terapia di analisi senza la quale non si sarebbe salvata.

Risulta affascinante per chi guarda la possibilità di poterla vedere e quasi poterci parlare, attraverso questo documentario, in un coro a più voci con tutti gli intervistati, specie il marito, che racconta la fine della scrittura del romanzo nella sua casa di Gaeta e la revisione insieme. «Mi resi conto presto che stavamo lavorando su qualcosa di molto grande».

Il film ripercorre le tappe emotive salienti dell’autrice, senza tralasciare l’incontro con Citto Maselli nel ’47, i vent’anni di relazione e di lavoro, «abbiamo fatto 60 documentari, ho imparato dal cinema a scrivere», dice Sapienza. Il dubbio di fare regia la sfiora, ma lei sceglie la scrittura che per lei è «pura follia, lo pensavo da bambina e non avevo torto».

Scrisse persino al presidente Pertini per spiegargli l’importanza del suo romanzo, sottolineando «la gioia laica della protagonista contro tutti i fascismi che impediscono la sua libertà» e scagliandosi contro quel fascismo culturale degli editori che preferivano puntare sul sicuro, sui libri su richiesta a seguito di indagini di mercato.

Le parti più suggestive e poetiche del documentario si rivelano quelle in cui alcuni passaggi cruciali del libro vengono riportati unicamente dai sottotitoli, con una musica evocativa spesso mescolata ai rumori della natura e location di notevole impatto visivo.

Il finale non risparmia la crisi interiore di Sapienza, i suoi problemi finanziari, il furto di gioielli per cui fu incarcerata a Rebibbia per meno di due mesi. Avrebbe voluto restare, per la chance di rinnovare il proprio linguaggio: «Mi ero troppo imborghesita, troppo lavoro intellettuale, troppa ricerca, invece lì sono rinata».

Morirà per un infarto senza sapere che sarebbe stata riconosciuta come una grande autrice in tutta Europa di un romanzo innovativo e trasformativo.

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