The Shrouds, il capolavoro di Cronenberg che viene dal futuro. In streaming su MYmovies
The Shrouds è uno dei pochi titoli veramente imperdibili usciti al cinema nell’ultimo biennio. Col suo ultimo capolavoro, David Cronenberg torna a riflettere sul corpo come ultima verità accessibile e sulla tecnologia come dispositivo di prolungamento – e distorsione – del lutto, del desiderio e della realtà stessa.
The Shrouds, presentato in concorso al Festival di Cannes, non è solo un film sul dolore e sull’incapacità di elaborarlo, ma anche un’opera profondamente personale, scritta dopo la morte della moglie Carolyn e attraversata da una malinconia rarefatta, cupa ma anche ironica, che non rinuncia al desiderio di forzare i limiti del linguaggio cinematografico.
Il protagonista è Karsh (un Vincent Cassel inquieto e bravissimo), imprenditore vedovo che ha ideato un sistema funebre avveniristico: la GraveTech, una bara tecnologica capace di trasmettere in tempo reale le immagini del corpo in decomposizione dei defunti grazie a un sudario digitale dotato di microcamere.
Un modo per “restare in contatto” con i propri cari anche oltre la morte, certamente; ma anche uno strumento di voyeurismo e di controllo, dove il dolore si trasforma in sorveglianza. Grazie a esso, lo spettro della moglie di Karsh, Becca (Diane Kruger), si fa presenza visiva e inafferrabile, moltiplicata fra ologrammi e doppi reali.
Quando il sistema viene violato da un sabotaggio hacker che manda in tilt le trasmissioni delle tombe, inizia un’inchiesta che assume i contorni del thriller paranoico, aprendosi a scenari di spionaggio industriale.
Il film s’inoltra allora in territori sempre più ambigui, in bilico fra indagine personale e complotto globale, fino a lasciare volutamente che la narrazione scivoli verso l’incompiutezza, come se il cinema stesso si rifiutasse di costruire una sintesi ordinata.
Sullo sfondo, una Toronto svuotata e quasi disumanizzata, filtrata da una fotografia plumbea e dalle struggenti musiche di Howard Shore, che diventa il teatro astratto di una riflessione insieme intima e teorica.
Se il corpo, per Cronenberg, resta l’unico di cui è possibile certificare l’esistenza – soggetto com’è a corruzione, marcescenza, mutazione –, The Shrouds lo osserva ormai in una versione digitale, dematerializzata, in cui l’“iper-visibilità” tecnica si rivela paradossalmente impotente: l’immagine non consola e non chiarisce. Semmai, moltiplica l’enigma e spalanca nuovi abissi.
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In questo senso, il film si presenta come un oggetto stratificato e obliquo, a tratti gelido, ma attraversato da sprazzi di umorismo nero e lampi improvvisi di sensualità.
La relazione tra Karsh, la cognata gemella della moglie (ancora Kruger), e la misteriosa Soo-Min (Sandrine Holt) assume infatti i contorni di una messa in scena erotico-filosofica che sfiora il delirio.
In definitiva, The Shrouds è un film complesso e geniale, oltreché tra i più dolenti del regista canadese.
Un’opera che riflette sulla morte senza mistificarla, restando fedele all’ossessione del regista per la carne e per il tentativo – sempre fallimentare – di controllarla. Un capolavoro che proviene direttamente dal futuro.
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