“The Studio”, dietro le quinte di Hollywood: la serie sul cinema con Scorsese nel ruolo di se stesso
ROMA – Immaginate Hollywood party, lo strepitoso film di Blake Edwards, che incontra Babylon di Damien Chazelle. O meglio ancora immaginate Call my agent che invece di raccontare la vita segreta e complicata degli agenti delle star racconta la vita segreta e complicata dei produttori degli studios.
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Tutto questo con personaggi del calibro di Martin Scorsese, Ron Howard, Sara Polley, Charlize Theron, Greta Lee, Zoë Kravitz, Olivia Wilde nei panni di sé stessi. È The Studio, la nuova serie tv di Apple tv+, scritta, diretta e interpretata da Seth Rogen. Che dopo una vita trascorsa a Hollywood, re delle commedie demenziali – da SuXbad a Strafumati – ha scelto di raccontarla attingendo a piene mani dalla sua esperienza e a quelle del suo socio e coautore, Evan Goldberg.
Seth Rogen è Matt Remick, il nuovo capo dei Continental Studios in crisi. In un settore in cui i film faticano tra box office in crisi e il boom delle piattaforme, Matt e il suo team di dirigenti combattono le proprie insicurezze, mentre si scontrano con artisti narcisisti e con i vili proprietari dell’azienda nella ricerca sempre più effimera di realizzare grandi film. Da persona che mangia, dorme e respira cinema, Matt ha inseguito questo lavoro tutta la vita e ora potrebbe dare il suo contributo per fare il prossimo grande film o invece mandare in bancarotta la compagnia. Perché – come dice nella serie – “se fosse per me ci staremmo concentrando sul prossimo Rosemary’s baby o Annah e le sue sorelle o che ne so un grande film non diretto da un cazzo di pervertito”. Ecco questo è il tenore dell’umorismo della serie ed è una bella sorpresa quanti cineasti sbuchino dai 10 episodi della serie.
Seth Rogen, come ha convinto la lunga lista di star a comparire nella serie nei panni di sè stessi e quanta libertà hanno avuto sul set?
“Ad alcuni di loro abbiamo chiesto di essere se stessi, ad altri abbiamo chiesto invece di giocare con l’immagine che il pubblico ha di loro e ribaltarla. Poi ce ne sono altri, come Owen Kline o il regista di Smile Parker Finn, che sono proprio loro stessi e si comportano come si comporterebbero nella vita vera. Devo dire che sono stati tutti al gioco, pronti a prendersi in giro e in particolare per i registi penso sia stato divertente per loro recitare, mettersi per una volta davanti alla macchina da presa. Sono convinto che anche la loro regia alla fine ne avrà dei vantaggi… molti erano così entusiasti che ci hanno suggerito dei colleghi… ‘dovete chiederlo anche a lui!’ ci hanno detto”.
Tra le guest star ce n’è una che non ti aspetteresti in una serie Apple: Ted Sarandos, capo di Netflix. Come è andata?
“Conosco Ted molto bene, da molti anni, da quando era lui stesso a imbustare i dvd da spedire a chi li noleggiava. È un tipo in gamba che ama genuinamente il cinema, ero sicuro che sarebbe stato il tipo giusto per la nostra serie. Netflix ha vinto così tanti premi che ho pensato chi avrebbe dato più fastidio a Matt in una premiazione, chi avrebbe dato più noia al mio personaggio? E ho pensato a Ted. C’è questa gag per cui lui viene ringraziato moltissime volte e allora il mio personaggio gli chiede come fa e lui risponde che l’ha fatto mettere nel contratto. Si finisce per credere che ci sia veramente nei contratti Netflix? In realtà no, però Ted ha detto che magari ora ce lo fa mettere, gli abbiamo dato un’idea. Quando ho scritto la puntata l’ho mandata a Apple e loro mi hanno detto ‘non possiamo mettere Tim Cook al posto di Ted?’ No mi spiace gli ho già inviato il copione. Lui ha detto subito sì e l’unica cosa difficile è stato trovare un momento libero nel suo programma fittissimo di impegni”.
Quanto di quello che vediamo nella serie è preso dalla sua vera esperienza a Hollywood?
“Moltissimo. L’episodio dei Golden Globe è esattamente quello che è accaduto a me, abbiamo fatto un film che ha vinto il Golden Globe e uno dei produttori era furioso perché non lo avevamo ringraziato nel discorso sul palco. Quell’episodio è basato su un fatto assolutamente vero e non è certo la prima volta che accade a Hollywood e sicuramente neppure l’ultima”.
Del film è protagonista, autore, regista e produttore. Accentratore?
“Mi sono divertito a fare tutte le parti e a dirla tutto ero meno stressato così. Il mio sconforto sul set quando c’è è dovuto proprio alla paura di non avere le cose sotto controllo. Non è bellissimo da dire ma è la verità: più controllo ho su quello che sto facendo e più mi sento rilassato. E qui Evan e io avevamo molto controllo e questo ci ha resi felici e rilassati”.
Lei ha una lunga carriera da produttore davvero vede i capi degli studios come degli squali?
“No, sinceramente io capisco il conflitto che c’è in molti di loro. Anche perché se l’unica cosa che ti interessa sono i soldi allora lavori nella finanza, lavori in banca non ti metti a produrre film perché ci sono modi più facili di guadagnare senza avere a che fare con persone come me, gli artisti. Il loro è un mestiere difficile sempre a metà tra l’arte e il commercio ma Hollywood è piena di persone che amano veramente il cinema e non diventi capo di uno studio se non ami i film. Quindi per quanto sia frustrante vedere alcune scelte che prendono io capisco il loro conflitto interiore, un conflitto molto interessante dal punto di vista drammatico. Per questo ci abbiamo fatto una serie. Ci sono a Hollywood dei produttori cui non frega niente di come viene un film ma sono veramente una minoranza”.
Crede che il cinema abbia perso la sua magia?
“Assolutamente no, l’industria periodicamente vive delle crisi esistenziali, ogni anno però vengono prodotti decine e decine di bellissimi film, culturalmente rilevanti. Pensate quest’anno a un titolo come The Substance… Qualche volta l’ambiente del cinema è un po’ frustrante va detto… vengono prese decisioni che confondono anche il pubblico ma finché usciranno film come The Substance la magia del cinema non sarà svanita”.
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