“The white lotus”, Natasha Rothwell: “Ho lasciato il cuore in Thailandia ma volevo venire in Italia”

La gavetta nel tempio della comicità americana, il Saturday Night Live, la popolarità grazie allo show da 15 Emmy The white lotus, una serie dove è autrice e protagonista, Manuale per morire da sola. Natasha Rothwell, 44 anni, originaria del Kansas, ha capito da poco che doveva sognare più in grande.

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Dopo la nomination agli Emmy per la prima stagione della serie di Mike White è tornata nel ruolo della massaggiatrice Belinda in questa terza avventura tra cadaveri e hotel a cinque stelle, ambientata in Thailandia. La serie, su Sky e Now (un nuovo episodio ogni lunedì), grande successo in Usa dove sta ottenendo ottimi ascolti su HBO (3,4 milioni di spettatori con il secondo episodio), indaga questa volta i temi della spiritualità, del piacere e del dolore sempre attraverso la satira sociale e il meccanismo del giallo. Uno o più cadaveri arrivano a rovinare le vacanze di un gruppo di super ricchi salvo poi tornare indietro di una settimana per capire chi è morto e perché.

“The white lotus” nuovo resort stessa formula

Belinda, che nella prima stagione era stata illusa dall’ereditiera Tanya di un prestito per aprire il suo centro benessere personale, arriva al White lotus delle spiagge di Koh Samui per un programma di scambio con il personale thailandese. “So che questa volta andrà alla grande” dice Belinda ma noi già sappiamo che non sarà così. Abbiamo intervistato Natasha Rothwell in collegamento da Los Angeles.

“The White lotus 3”, questa volta la meta è la Thailandia

Tra la prima e la terza stagione come è cambiato il suo personaggio e come è cambiata lei?

“Belinda ha attraversato un periodo di delusione e sofferenza perché i suoi sogni sono stati infranti da Tanya, ora è pronta per nuove cose. Ha intrapreso un viaggio di cura di sé, per stare bene e cercare di imparare a fidarsi di nuovo dopo quella delusione. Per me personalmente? Beh intanto ora sono un’attrice nominata agli Emmy! E questo cambia i giochi di sicuro”.

Lo stile di Mike White è una miscela di critica sociale e intrattenimento. Secondo lei quali sono le ragioni di questo successo?

“La gente prova una certa fascinazione per quell’1% della popolazione ricca e su come vivono . Avere la conferma che i soldi non comprano la felicità, vedere cadere la loro immagine di illusione e vedere il marcio dietro la facciata è un gran divertimento. Al pubblico piace il caos e la nostra è una serie di evasione, ambientata in luoghi esotici. Mike è uno sceneggiatore eccezionale e l’elemento thriller con l’idea di cercare di indovinare cosa è successo beh rende la storia ancora più intrigante e la chiacchiera perfetta da fare intorno alla macchinetta del caffè in ufficio”.

Come è andata in Tailandia, avventure, disavventure?

“Mi sono innamorata di Koh Samui forse perché è il primo posto dove ho messo piede in Thailandia. È un posto bellissimo dove il ritmo è più lento rispetto alle grandi città, c’è poco da dire se non che è di una bellezza da lasciare senza fiato”.

C’è qualcosa che l’è dispiaciuto?

“Beh mi è dispiaciuto non venire in Italia per la seconda stagione. Io amo l’Italia e sono pazza di Firenze. È stato un vero peccato che il mio personaggio non ci fosse nella seconda stagione, ma ho intenzione di venire per conto mio presto perché c’è tanto da esplorare”.

Lei è anche protagonista nonché sceneggiatrice della serie “Manuale per morire da sola”. Essere autrice oltre che interprete come cambia il suo approccio al lavoro?

“È raro riuscire a fare entrambe le cose: essere un’autrice oltre che un’interprete è un dono. Per me è una grandissima cosa poter raccontare delle storie mie, lo avevo già fatto con un’altra serie, Insecure. Certo quando devi anche interpretare il personaggio che scrivi sei molto più attento con la penna. Per Manuale per morire da sola quando scrivevo ‘si butta nel lago ghiacciato’ poi mi ricordavo che ero io a dovermi buttare nel lago ghiacciato… Ma al di là di quello c’è un senso di potere e libertà nell’essere in quella posizione che sicuramente ha cambiato il mio approccio al mestiere. E anche le scelte da fare a livello di ruoli”.

Quando ha capito che voleva raccontare storie per vivere?

“Devo dire che l’ho capito presto. Mio padre era un appassionato di videocamere e fin da quando ero molto piccola faceva video di famiglia con quegli apparecchi enormi. Circa dieci anni fa mia sorella ha preso tutte quei vhs e li ha riversati in dvd e così mi sono rivista quei video in cui ero letteralmente abbracciata alla telecamera. Inventavo personaggi, facevo le facce, le voci. Mi è sempre piaciuto raccontare storie, facevo sedere i miei fratelli e iniziavo il mio show. Per me scrivere o raccontare era il mio modo per mostrare come vedevo la vita”.

Chi sono stati i suoi modelli di riferimento?

“Quando sono diventata più grande, negli anni Ottanta c’era questa sitcom che si chiamava Piccola grande Nell con quest’attrice Nell Carter che era una donna afroamericana taglia forte che interpretava la tata di una famiglia e anche se interpretava un ruolo di domestica era lei la protagonista dello show. E ricordo che vedere lei in un ruolo così importante mi ha fatto pensare: ‘potrei farlo anche io’. Per questo la rappresentazione e la visibilità sono tanto importanti perché ti fanno capire cosa è possibile. Onestamente non so se avrei provato a fare questo mestiere se non avessi visto quello show.

Ha realizzato parecchio in questi ultimi anni, ma qual è il suo sogno nel cassetto?

“Mi sono resa conto ultimamente che i miei sogni nel cassetto erano troppo piccoli. Essendo riuscita a fare tante cose ho capito che dovevo sognare più in grande ma essendo un po’ scaramantica questi sogni più grandi li tengo per me, sono scritti nella mia lavagna mentale. Credo che ognuno di noi debba avere delle aspirazioni alte perché sono quelle che ci spronano a fare meglio e ci danno l’energia per andare avanti”.

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