Trifole, un drama-adventure dal respiro internazionale ambientato nella terra del Tartufo bianco d’Alba. Online su MYmovies
In un piccolo paese delle Langhe, basso Piemonte, è ambientato il secondo film da regista (dopo The Grand Bolero nel 2021) del giovane Gabriele Fabbro, Trifole – Le radici dimenticate. Il paesaggio splendidamente fotografato (Brandon Lattman) non fa da semplice sfondo alle vicende narrate ma è una presenza che agisce sui personaggi e li pervade in profondità.
Le trifole, ovvero i tartufi, sono merce pregiata e tipica delle Langhe, che viene venduta anche a centinaia di migliaia di euro ogni anno all’Asta Mondiale del Tartufo Bianco d’Alba.
È lì che finirà, al termine di una serie di tumultuosi eventi, la protagonista Dalia (Ydalie Turk, attrice sudafricana e pure autrice della sceneggiatura del film, insieme a Fabbro), una ragazza londinese mandata dalla madre italiana (Margherita Buy) nel paesino delle Langhe dove vive il nonno Igor (Umberto Orsini), per prendersi momentaneamente cura di lui.
Igor vive isolato con la cagnolina Birba nella sua amata casa immersa nella natura, è stato un cercatore di tartufi, ma ora deve affrontare problemi di salute ed economici. La demenza senile incombe insieme all’imminente sfratto, ma lui non vorrebbe lasciare quel luogo che ha rappresentato tutta la sua vita.
Pure Dalia sta attraversando un periodo di crisi, ha studiato letteratura all’università ma ora si sente persa, ha di fronte un futuro incerto e non sa cosa fare della propria esistenza. Il rapporto con il nonno inizialmente non è facile, anche per via delle difficoltà a comunicare tra loro — lei parla poco l’italiano, lui mastica a stento l’inglese — ma pian piano Dalia riscopre le proprie origini e affiorano i ricordi d’infanzia.
Si ricongiunge sempre di più al nonno il quale, nonostante il peggioramento della malattia, nei momenti di lucidità riesce a capirla e le fa conoscere tradizioni e segreti del mestiere del “trifolau”, come viene chiamato in dialetto piemontese il cercatore di tartufi.
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Per trovare i soldi necessari a pagare la casa e permettere al nonno di restare lì invece di trasferirsi in una residenza per anziani, Delia decide di mettersi alla caccia di una trifola di grandi dimensioni.
Una ricerca che assume un senso metaforico e la porta ad immergersi nella natura, a guardare dentro sé stessa, esplorare le proprie fragilità e scoppiare in un pianto liberatorio, cogliere la felicità nelle piccole cose.
Dopo aver trovato un grosso tartufo bianco con l’aiuto della cagnolina Birba, la ragazza dovrà fare i conti con il cinismo di un ambiente senza scrupoli dove c’è chi non esita a ricorrere al furto di un bene così prezioso. E il film si concede allora una parentesi mondana, all’asta mondiale di Alba dove Dalia tenterà di recuperare il maltolto.
Infine, però, si torna sempre a quei luoghi, alle radici, al calore familiare, e a quelle parole di Cesare Pavese da “Il mestiere di vivere” citate in apertura: “Oggi vedevi la grossa collina a conche, il ciuffo d’alberi, il bruno e il celeste, le case e dicevi: è come è. Come deve essere. Ti basta questo. È un terreno perenne. Si può cercar altro? Passi su queste cose e le avvolgi e le vivi, come l’aria, come una bava di nuvole. Nessuno sa che è tutto qui.”
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