Di Giannantonio: “La mia bella famiglia, gli amici Bove e Cobolli e la Roma: il mio mondo lontano dalla pista”
Fabio, Edoardo, Flavio. Tre amici, tre ragazzi romani, romanisti fin nel midollo. Campioni. Uno pilota, l’altro calciatore, il terzo tennista. Fabio Di Giannantonio, 26 anni, ducatista del team di Valentino, il Vr46: in questa stagione, 2 podi domenicali e 3 nelle sprint race. Edoardo è Bove (23), un sogno fermato nell’ottobre scorso dal cuore malato, con la maglia della Fiorentina: in questo fine-settimana dovrebbe venire a Misano a vedere “Diggia”. E poi c’è Flavio Cobolli (23), numero 25 del ranking Atp: anche lui, quando può, si precipita in pista a tifare Fabio. L’ultima volta erano tutti e tre al Mugello. Inseparabili.
Di Giannantonio, pilota: ma anche lei da bambino sognava di indossare un giorno la maglia della Roma.
«Mio padre mi ha fatto salire su una moto che avevo 6 anni, fino ai 16 correvo e provavo pure col calcio a 5. Poi, la scelta. Ne avevo 17, quando da solo ho lasciato l’Eur e la famiglia (papà Ivan, grossista di pesce, mamma Sonia, il fratellino Luca: «Una bella famiglia, semplice: hanno fatto tanti sacrifici per seguirmi in questa avventura, non li ringrazierò mai abbastanza») e sono venuto a vivere e ad allenarmi a Misano. Edoardo e Flavio invece giocavano nelle giovanili giallorosse. Il nostro rapporto nato diverso tempo fa, complice Diego Tavano che è il manager mio e di Bove. Ci siamo trovati bene, insieme».
Però non è coperto di tatuaggi dedicati alla Roma, come Cobolli.
«Nessun tatuaggio, anche se mi piacciono molto. Sono un appassionato di design e grafica: seguo lo scultore americano Daniel Arsham, o l’argentino-spagnolo Felipe Pantone, che ha cominciato con la street-art. Mi ispiro a loro, per disegnare i miei caschi e tute».
E in pista, si ispira al suo “capo”: il Doc.
«Nei fine settimana di gara, a Valentino bastano 3 parole per farti capire tutta la corsa: ha sempre una conoscenza incredibile del mezzo, della pista, della strategia, di come studiare l’avversario. È una persona speciale, sarebbe stato un fuoriclasse in qualsiasi disciplina sportiva. Non sono un allievo dell’Academy, la nostra è forse una relazione diversa: abbiamo cominciato a legare poco alla volta, in maniera molto naturale».
È presto per fare un bilancio della stagione?
«Mi trovo benissimo nel team, sono orgoglioso di lavorare qui. Abbiamo avuto un po’ di alti e bassi, ma per ragioni che spesso non dipendevano da noi. Il potenziale però è incredibile: siamo tra i pochi che, quando tutto gira bene, possono stare vicini a un Marc Marquez che sta facendo la differenza. Abbiamo del margine, possiamo essere più precisi, puntiamo a breve a fare un passo avanti. Posso migliorare nel time-attack e sul bagnato, dove non ho mai vinto. Il mio obiettivo è la Top 3».
Andrea Pellegrini, racing motorcycle market manager di Brembo, l’azienda che fornisce i freni alla MotoGP, dice che per lei ci vuole un impianto ‘pronto’, con molta potenza al primo attacco. Perché – sorpresa! – “Diggia” è un tipo speciale: frena con un dito.
«Sono uno che riesce a gestire bene l’entrata in curva, a portare velocità facendo la differenza. Ma diversamente dagli altri – che di solito usano due se non tre dita – freno con uno solo. E mi serve una leva speciale, che mi permetta di frenare a fondo usando meno forza rispetto agli altri».
In squadra corre con Franco Morbidelli, anche lui romano.
«E romanista. Alla prima occasione me li porto tutti all’Olimpico».
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