Cervello, black out del pensiero: cosa succede se svuoti la mente
È come un mondo a parte, in cui si entra ad una “velocità” rallentata, dove il corpo cambia ritmo di marcia: il cuore rallenta, la pressione diminuisce. Un ‘mini-letargo’ che un team di esperti belgi, francesi, e australiani, ha portato a galla attraverso prove già esistenti: ha esaminato 80 studi precedenti arrivando a conclusioni che ha elencato in un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Trends in Cognitive Sciences.
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Il vuoto mentale
Il gruppo si è formato in occasione del 25° Congresso annuale dell’Associazione per lo studio scientifico della coscienza, tenuto ad Amsterdam nel 2022. “Durante la veglia, i nostri pensieri passano da un contenuto all’altro – spiegano gli autori -. Tuttavia, ci sono momenti apparentemente privi di contenuti descrivibili, definiti vuoto mentale -. Non è ancora chiaro cosa rappresentino questi vuoti mentali, il che evidenzia le ambiguità definitorie e fenomenologiche che li circondano”.
Va detto che in passato, il mind blanking è stato studiato solo utilizzando ricerche ed esperimenti sviluppati per analizzare il mind wandering, un’esperienza interiore molto vicina, in cui i nostri pensieri “scorrono fluidi come un fiume”.
Ma quella sarebbe un’altra cosa, almeno lo sostengono i ricercatori, che sottolineano come “il mind blanking sia un’esperienza distinta che comporta una maggiore sonnolenza e lentezza, oltre a un aumento degli errori, e che dovrebbe essere ispirata alla ricerca sul mind wandering, ma considerata in modo indipendente”. Soprattutto, la ricerca sulla distrazione mentale evidenzia che, quando siamo svegli e impegnati in un compito, spesso non ci concentriamo sul “qui e sull’ora, ma sul lì e sull’allora”.
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L’indagine sul “pensare a nulla”
“Abbiamo cercato di comprendere meglio il fenomeno del mind blanking analizzando 80 articoli di ricerca, tra cui alcuni nostri in cui abbiamo registrato l’attività cerebrale dei partecipanti quando riferivano di ‘non pensare a nulla”, spiega Athena Demertzi del Giga Research presso l’Università di Liegi, autrice della ricerca. Gli scienziati definiscono nel complesso, l’indagine sul vuoto mentale “illuminante, importante e attuale”. E spiegano il perché in questo modo: “Illuminante perché sfida la concezione comune secondo cui la veglia implichi un flusso costante di pensieri; importante perché il vuoto mentale evidenzia le differenze interindividuali nell’esperienza soggettiva, i cui distinti substrati psicologici e neurofisiologici potrebbero essere informativi per potenziali patologie; attuale perché può contribuire alla ricerca concettuale per una definizione completa e articolata di quel concetto”.
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Cosa succede quando non pensiamo
Il lavoro del gruppo di scienziati intenti a scandagliare la mente a riposo, ha portato a una serie di conclusioni. Risultati che si possono riassumere così:
1 – La frequenza dei vuoti di memoria varia notevolmente da persona a persona, ma in media si sperimenta questo fenomeno nel 5-20% dei casi.
2 – Le esperienze più comuni definite “vuoto mentale” includono, tra le altre, cadute di attenzione, problemi di memoria e cessazione del linguaggio interiore.
3 – I vuoti di memoria tendono a verificarsi verso la fine di compiti che richiedono un’attenzione prolungata, come gli esami, e dopo la privazione del sonno o un esercizio fisico intenso, ma sono anche un tipico stato di veglia.
4 – I bambini che hanno un disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) riferiscono di avere la mente vuota più frequentemente rispetto alle persone neurotipiche.
5 – Il “mind blanking” fa parte della descrizione clinica del disturbo d’ansia generalizzato nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5). È rilevante anche per diverse altre condizioni cliniche, come ictus, convulsioni, traumi cranici e la sindrome di Kleine-Levin, che induce le persone a dormire fino a 20 ore al giorno.
6 – Esperimenti che osservano l’attività cerebrale a riposo, utilizzando tecnologie come la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e l’elettroencefalografia, dimostrano che prima di uno stato di vuoto mentale sono presenti specifiche firme neurali nelle reti frontali, temporali e visive del cervello.
7 – Durante i vuoti di memoria successivi a compiti di attenzione prolungata, la frequenza cardiaca e le dimensioni delle pupille diminuiscono e il cervello mostra una minore complessità del segnale, uno stato tipicamente osservato nelle persone in stato di incoscienza. Durante il vuoto, si sono osservate interruzioni nell’elaborazione sensoriale e onde EEG lente, simili a quelle del sonno. Gli autori descrivono questi stati, in cui parti del cervello di una persona sembrano addormentate, come “episodi di sonno locali”.
8 – Anche un aumento dell’attività neurale nelle regioni corticali posteriori del cervello può portare a un vuoto mentale, come nel caso in cui un pensiero veloce rallenta le funzioni cognitive.
9 – Quando alle persone è stato chiesto di “svuotare attivamente la mente”, i ricercatori hanno osservato disattivazioni nel giro frontale inferiore, nell’area di Broca, nella corteccia motoria supplementare e nell’ippocampo.
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Rossini: “Entrare e uscire da fasi di non pensiero”
Ad esaminare la questione, tema che definisce “complesso”, è il professor Paolo Maria Rossini, responsabile modulo Neuromotoria C e direttore del Dipartimento di Neuroscienze e neuroriabilitazione dell’Irccs San Raffaele di Roma. Che premette: “L’articolo franco-belga-australiano sul mind blanking (una fase di stato di veglia o di dormiveglia in cui la mente si svuota da qualsiasi pensiero e contatto con l’ambiente) si cimenta con tematiche molto complesse che stanno ai confini tra le neuroscienze, la semiotica, la filosofia e la linguistica”. E prosegue: “Come in tutti i tentativi precedenti, anche in questo caso il terreno rimane ’scivoloso’ ed è praticamente impossibile trarre conclusioni definitive. Chi di noi non ha mai provato la sensazione di entrare e uscire da fasi di non-pensiero, in cui il cervello pure essendo vigile e presente, sembra svuotarsi di ogni contenuto?”.
“È certamente un vissuto comune a cui difficilmente diamo peso se non in situazioni in cui questa attività del cervello diventa predominante e interferisce in modo patologico con le abilità del vivere quotidiano – sottolinea -, come nei casi di iperattività motoria e deficit di attenzione o in alcune forme di epilessia parziale”.
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Tra stato di coscienza e sogno
Rossini entra nel merito: “Di volta in volta il mind blanking è stato considerato una modalità di ’riposo automatico’ in cui il cervello si pone se cimentato in un compito psico-fisico prolungato – spiega Rossini -. Una modalità in cui, pur essendo ancora operativo, il cervello è meno efficiente/efficace; una modalità che affianca le tante teorie sull’errore umano cioè quando l’uomo commette errori importanti anche in assenza di distrazione o inattenzione volontaria”.
Rossini evidenzia come “gli autori tentino di definire al meglio delle loro conoscenze scientifiche cosa sia il mind blanking, ma così facendo ne diano definizioni diverse attraverso l’identificazione di situazioni in cui esso si manifesta: ad esempio in alcuni tipi e in certe fasi della meditazione, in certe condizioni del sonno fisiologico, in condizioni in cui fasi brevissime di sonno si inseriscono nella veglia, in caso di di stanchezza psicofisica”.
“Già solo la considerazione delle parole che vengono utilizzate dai singoli che tentano di descrivere il loro personale stato di mind blanking sembra rappresentativo di questa complessità: ‘non ricordo cosa stavo pensando, non stavo pensando a nulla, la mia mente vagava’ – rimarca l’esperto -. Inoltre, il tema si intreccia con molte problematiche altrettanto complesse delle neuroscienze cognitive, come lo stato di coscienza, la genesi dei sogni, il senso di sè, l’orientamento nel tempo”.
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“Definizione ambigua”
A tale proposito Rossini parla di “definizione ambigua”. “Anche in questo articolo scientifico la definizione di mind blanking continua ad essere ambigua, nel senso che persevera nel tentativo di mischiare tra di loro due aspetti concettuali: l’assenza di una focalizzazione dell’attenzione e dei pensieri e la più o meno completa assenza di un’esperienza cosciente – conclude -. L’impiego di questionari strutturati e anche di tecnologie sofisticate per lo studio delle funzioni cerebrali come la risonanza magnetica funzionale e l’elettroencefalogramma con algoritmi di analisi avanzati (ad esempio entropia e connettività) non è riuscito a meglio chiarire questo misterioso e affascinante fenomeno”.
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