“Succession”, in gioco 18mila miliardi
L’anziano magnate dei media Logan Roy propone ai quattro figli di sottoscrivere un trust e annuncia di non essere ancora pronto a cedere il comando dell’azienda al maggiore. Iniziava così la prima puntata di Succession, pluripremiata serie tv della Hbo, che racconta la contesa di un impero. Finzione, certo. Ma il passaggio generazionale è un tema delicato anche nella realtà. “Non tutti se la sentono di affrontare il discorso: oggi anche a 90 anni ci si sente ancora in forma”, spiega Giovanni Saraconi, capo del private banking di Unicredit per il Nord Ovest. L’istituto di credito anni fa scrisse persino un libro sulla questione. Lo intitolò Famiglia spa. La consegna del testimone può essere difficile anche secondo Marcus Yorke-Long, responsabile Private Office dello studio legale Charles Russell Speechlys di Londra, perché i fondatori di grandi aziende possono ritenere i propri figli ancora inesperti. “Ci vuole molto tempo – dice Yorke-Long – perché si generi la volontà di demandare a terzi”.
Non si tratta, però, di una questione solo privata. Il modo in cui vengono risolti i problemi di successione ha una grande influenza su posti di lavoro e su come verranno spesi ben 18mila miliardi di dollari. Tanti quelli che saranno trasmessi alle nuove generazioni a livello globale nei prossimi cinque anni, secondo Vanguard, tra le più influenti società d’investimento. Si tratta di un trasferimento di portata storica. Il passaggio di consegne è in corso. La società immobiliare Knight Frank, nel suo ultimo Wealth report, ha intervistato 150 family office, gestori di oltre 84 miliardi di dollari, il 33% con sede in Europa: sei su dieci (58%) parlano di giovani generazioni già coinvolte nel processo decisionale. Meno di uno su dieci parla però di Millennial già al comando. E quasi la metà (44%) dice che hanno per lo più poteri secondari. Le domande su come verrà gestita la successione sono più pressanti in Asia-Pacifico, dove il capitale privato è cresciuto a un tasso annuo del 13% tra 2013 e 2023 (dati EY). Non a caso due family office su tre sono stati fondati dopo il 2010, secondo il report Campden Wealth. Molte delle nuove famiglie asiatiche mandano i figli nelle migliori università in Usa o Regno Unito. Chi torna spesso deve poi scegliere: gestire l’azienda di famiglia o il family office.
In Italia, secondo Aipb, l’associazione del private banking, entro il 2028, 180 miliardi di euro passeranno alle nuove generazioni. “Ma il 69% dei clienti Private tra i 65 e i 74 anni non coinvolge i figli nella gestione del patrimonio, creando un vuoto”, spiegava lo scorso marzo il presidente Andrea Ragaini. Diverso il discorso per i patrimoni senza erede, pari entro il 2030 a 20,8 miliardi, secondo Fondazione Cariplo. “Ciò in un Paese come il nostro dove la propensione a fare testamento è solo del 12%”, spiega Marcello Gallo, presidente del Fondo Filantropico Italiano, che invita chi non ha figli a guardare alla filantropia.

“Oltre alle fondazioni di famiglia – secondo Ragaini – ci sono strumenti come fondi filantropici, polizze assicurative, fondazioni fiduciarie e trust che possono rendere la filantropia parte integrante della pianificazione patrimoniale”. Per Aipd, il fondo filantropico o la polizza assicurativa consentono di affidarsi a grandi organizzazioni per la gestione. La fondazione fiduciaria permette di destinare beni a uno scopo specifico. Il trust, di destinare una parte del patrimonio a scopi filantropici e un’altra a esigenze familiari, offrendo un alto livello di personalizzazione, più riservatezza e minori oneri burocratici rispetto alla fondazione di famiglia. Queste ultime vanno meno di moda. “La causa? – dice l’avvocato Andrea Vicari – alcuni limiti imposti dall’ordinamento”.
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