Sinner e Musetti, gli specialisti degli slam
Uno dei pochi giornalisti professionisti italiani che può vantare punti ATP – vediamo chi ne scopre il nome – è da molti anni una presenza fissa agli Us Open. Alla fine del primo set del match Sinner vs. Shapovalov mi dice: “Tu sai quanto un tempo stimassi Shapo, ma poi avevo perso fiducia in lui. Oggi mi sto ricredendo. È uno da preservare, interrompe la monotonia attuale del tennis, se si escludono i primi due della classifica che sono di un altro pianeta”. Analisi condivisibile. Denis sta giocando contro l’italiano al livello di quando nel 2017, a 18 anni, terremotò il circuito facendo fuori nel 1000 di Montreal il numero 2 ATP Rafael Nadal negli ottavi e Adrian Mannarino nei quarti, fermandosi solo in semifinale contro Alexander Zverev. Nell’Arthur Ashe Arena il canadese spaventa Jannik nel primo set, che fa suo per 5-7. Nel terzo parziale ha l’occasione di andare a condurre per 0-4, e allora ci spaventiamo anche noi, pur forgiati dalla serata-thriller con Dimitrov a Wimbledon, e si spaventa il pubblico. Però, quando il rischio è massimo, il numero 1 al mondo di trasforma in una formidabile macchina da guerra che procede inesorabile nonostante le bordate del nemico: dopo il 5-7 arrivano i set vinti (il terzo grazie a sei game consecutivi!) grazie alla forza, al cervello e alla volontà combinati: 5-7 6-4 6-3 6-3. La chiave è l’accresciuta efficacia della risposta al servizio, che procura a Sinner punti su punti. Per il resto, vi lascio alle cronache, che resocontano compiutamente di ogni suo singolo colpo, e vi rinvio all’ultima parte dell’articolo, dove mi cimento sui prossimi turni a Flushing Meadows.
Musetti e il successo su Cobolli
Su Musetti vs. Cobolli consentitemi di prenderla da lontano. In Gran Bretagna il termine “derby” si usa solo nello sport e rigorosamente per partite locali: United contro City è il Manchester derby, Arsenal contro Tottenham il North London derby, Liverpool contro Everton il Merseyside derby. In italiano, generosi e approssimativi come siamo, definiamo “derby” i match tra tennisti dello stesso paese o, addirittura, gli scontri in politica o in economia, del tipo “stasera il derby tra Salvini e Zaia”, “nel Cda previsto il derby tra Caltagirone e Nagel”. Gianni Clerici, che amava l’inglese, non definiva “derby” nemmeno quelli al cubo tra le sorelle Williams. A proposito di Venus e Serena, ricordo che, a chiudere su Repubblica il pezzo su una loro finale all’inizio del millennio, lo scriba si espresse più o meno così: “Quel che resterà, al di là del risultato, sono l’umanità e l’amicizia”. L’umanità e l’amicizia – parole che stanno rischiando la desuetudine – non vengono intaccate dalla tensione che oggi permea la partita tra Lorenzo e Flavio sul campo del Louis Armstrong Stadium. Tra il carrarino e il romano esiste un’amicizia si potrebbe definire antica, non fosse che sono poco più che ragazzi, entrambi 23 anni e qualche mese. Si conoscono da bambini, si ritrovano spesso nei tornei under in giro per l’Italia, diventano amici. Durante il primo anno del Covid, il 2020, con il circuito fermo, si rifugiano nei raduni federali organizzati dalla Fit (ancora mancava la “p” di padel), soprattutto nella bolla protetta di Tirrenia. Nasce un cameratismo speciale che coinvolge anche Giulio Zeppieri, hanno voglia di misurarsi l’uno contro l’altro negli allenamenti, sentono il bisogno di sostenersi nei momenti no. Musetti, più precoce, ha già ottenuto l’attenzione globale con la finale nello slam junior di New York e il titolo in quello di Melbourne; Zeppieri sembra il grado di crescere rapidamente; Cobolli sta ancora cercando di personalizzare il suo tennis. Questa differenza di passo rende il loro rapporto più forte: Flavio ha un punto di riferimento in Lorenzo, che a propria volta scopre nel ragazzo del Circolo Parioli un carattere solare capace di alleggerire il clima plumbeo di quei mesi.
Amici di tennis
La complicità tra Musetti e Cobolli resta viva quando diventano professionisti e poi giocatori di primissima fascia: gli incoraggiamenti reciproci dagli spalti, i team e le famiglie che si frequentano, le molte cene condivise in ogni continente, il linguaggio comune. In un tennis di solitudini, il loro legame è una eccezione. Eppure oggi sono entrambi accigliati, si capisce che sfidarsi non piace né all’uno, né all’altro. Vorrebbero essere altrove. Poi però la partita prende una piega inattesa e finisce in fretta (96 minuti) tra gli abbracci e le pacche sulle spalle. Cobolli si ritira sul punteggio di 6-3 6-2 2-0, dopo aver tentato di continuare nonostante un problema al polso e all’avambraccio destri, stressati dai primi turni vittoriosi contro Francesco Passaro e Jenson Brooksby, risolti entrambi al quinto set. Musetti lo rincuora e chiede ripetutamente al pubblico di applaudire l’amico sfortunato. Umanità e amicizia.
Minima cronaca. Primo set con un tifo tiepido, un po’ come il gioco non scintillante. Sostegno equo ed educato per i due, forse per pari opportunità non c’è l’urlatore-ristoratore Bartocci, quello della trattoria Via della Pace. Comunque Musetti appare in crescita rispetto ai turni precedenti. Cobolli è visibilmente stanco. Nel secondo set il pubblico si sveglia a metà quando Flavio fa qualche bel punto, pur non dando continuità alla propria prestazione. Ogni valutazione di quanto accade in campo non può prescindere dall’infortunio. Il ritiro non stupisce nessuno dopo un preoccupante medical timeout, durante il quale il papà Stefano grida: “Flavio, se non ce la fai, non devi fare l’eroe”.
Lorenzo agli ottavi in uno slam sul cemento per la prima volta
Per Lorenzo lunedì sarà l’esordio negli ottavi di uno dei due slam sul cemento (se preferite: l’hard o il sintetico), Us Open e Australian Open. È già stato semifinalista a Wimbledon l’anno scorso, a Parigi tre mesi fa. Il suo prossimo avversario sarà Jaume Munar, maiorchino come Nadal, che da numero 37 ATP sta attraversando, a 28 anni, la migliore stagione della carriera. Lo battesse, verosimilmente se la vedrebbe con Sinner nei quarti di finale. Altro che derby, allora…
Nella tarda notte italiana si riempiono tutte le caselle degli ottavi di finale. Nella parte alta del tabellone si collocano, oltre a Sinner che affronterà il kazako Alexander Bublik, Musetti e Munar, il russo Andrey Rublev e il canadese Felix Auger-Aliassime, la sorpresa svizzera Leandro Riedi e l’australiano Alex de Minaur. Nella parte bassa se la vedranno il serbo Novak Djokovic e il tedesco Jan-Lennard Struff, il ceco Tomas Machac e l’americano Taylor Fritz, il francese Adrian Mannarino e il ceco Jiri Lehecka, l’altro francese Arthur Rindeknecht e, ovviamente, Carlos Alcaraz. La domanda a più livelli è semplice: chi dei sette “di sopra” ha i numeri necessari per fermare l’ottavo, Sinner? Bublik, che dovrebbe però ripetersi dopo il clamoroso successo sul sudtirolese sull’erba di Halle in giugno? Magari Auger-Aliassime, che ha eliminato Zverev? O Musetti? E “sotto” c’è un possibile anti-Alcaraz, oltre al solito Djokovic? Sembra delinearsi lo stesso epilogo che in questa stagione abbiamo vissuto a Parigi e Londra, perché – come sostiene il mio amico giornalista che fa la spola tra più campi di Flushing Meadows – “quei due sono di un altro pianeta”.
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