Green Border, un intreccio di vite incastrate tra foreste e filo spinato. Online su MYmovies
Nel cuore di una foresta primordiale, contemporaneamente labirintica e verdeggiante, si consuma una tragedia che dischiude uno dei recessi più oscuri del presente.
Green Border, l’ultimo, potentissimo film di Agnieszka Holland, ci catapulta in una zona d’ombra dell’Europa contemporanea: il confine tra Polonia e Bielorussia, frontiera naturale eppure artificiale, dove il diritto vacilla e l’umanità si misura nella densità del silenzio e del fango.
Qui non c’è mare, né sabbia, né onde televisive pronte a spettacolarizzare la sofferenza: c’è il fitto della boscaglia, c’è l’assenza della luce, c’è il gelo che uccide nel silenzio.
Girato in un bianco e nero livido e cupo – firmato dal direttore della fotografia Tomek Naumiuk – Green Border rinuncia alla luce piena del giorno.
Ogni fotogramma pare respingere l’ottimismo, rifiutare la consolazione. Solo la primissima inquadratura, a volo d’uccello su una distesa di verde incontaminato, suggerisce una bellezza che sarà presto negata.
Questo confine, che nella sua concretezza fisica sembra arbitrario e privo di qualsivoglia sacralità, diviene invece simbolo di una frontiera morale ed esistenziale, laddove l’Europa – o meglio, ciò che vorremmo ancora chiamare Europa – si trova a fare i conti con le sue contraddizioni più profonde.
Il film si costruisce come un’opera corale, dando voce a profughi, attivisti, militari. Eppure è Julia (Maja Ostaszewska), una psicoterapeuta segnata dalla perdita e dal senso di giustizia, a diventare il fulcro emotivo della narrazione.
Il suo passaggio dall’inerzia all’azione ha il sapore dell’esemplarità: non si tratta di eroismo, ma di etica incarnata, di risposta necessaria al male prossimo.
Allo stesso tempo, Holland introduce la figura di Jan (Tomek Wlosok), giovane guardia di confine, in un percorso di lacerazione morale che spezza la monoliticità del potere repressivo e apre alla possibilità di redenzione.
Siamo lontani dalla retorica. Il racconto non si rifugia nella compassione facile. Piuttosto, Green Border analizza con chirurgica lucidità l’atroce ripetizione della violenza: i migranti respinti da una parte e dall’altra del confine, la macchina crudele delle espulsioni coatte che evoca, con sinistra familiarità, i rituali disumanizzanti dei regimi totalitari del Novecento.
MYmovies ONE, il grande cinema d’autore in streaming. Ovunque, quando vuoi.
Non a caso, Holland – già autrice di Europa Europa – non teme di evocare suggestioni storiche pesanti, né di denunciare la cecità delle istituzioni comunitarie.
Accolto con grande entusiasmo in concorso alla Mostra di Venezia, dove ha vinto il Premio speciale della Giuria, Green Border è un film straordinario. Non solo per ciò che mostra, ma per come lo mostra: con rispetto, con dolore, con lucidità.
In una scena finale, che echeggia L’infanzia di Ivan di Tarkovskij, ciò che resta della famiglia siriana attraversa un canale: non c’è retorica in quell’immagine, ma solo la coscienza che il cinema, se vuole essere veramente tale, deve ancora saper guardare e farci guardare dove nessuno vuole più vedere.
Condividi questo contenuto: